Il disagio psichico può essere
occasione per il paziente di giungere a contatto, pur nella
sofferenza, con aspetti del proprio Sé che altrimenti a lui
resterebbero ignoti, come sono ignoti alla maggior parte delle
persone ritenute "sane". Numerosi studi sulla creatività
sottolineano limportanza dellesperienza della
malattia mentale per lo sviluppo di quelle attitudini
immaginative e di innovazione che sono caratteristiche della
produzione creativa.
CREATIVITA E PSICOPATOLOGIA
La presentazione delle opere
frutto dellattività del laboratorio di Art Therapy del
Centro Diurno ci offre occasione di parlare di un tema a noi
molto caro, quello della relazione tra creatività e
psicopatologia.
Ci sembra che lattività del Centro
Diurno abbia permesso ad operatori e pazienti di sviluppare
strategie che permettano di con-vivere con la sofferenza psichica,
valorizzando quelli che sono gli aspetti peculiari di questa
esperienza. Il disagio psichico, infatti, può essere occasione
per il paziente di giungere a contatto, pur nella sofferenza, con
aspetti del proprio Sé che altrimenti a lui resterebbero ignoti,
come sono ignoti alla maggior parte delle persone ritenute "sane".
E importante sottolineare il fatto che
non bisogna rivestire di un alone romantico il disagio e la
sofferenza che la malattia mentale comporta. Daltra parte
numerosi studi sulla creatività sottolineano limportanza
dellesperienza della malattia mentale per lo sviluppo di
quelle attitudini immaginative e di innovazione che sono
caratteristiche della produzione creativa.
CREARE significa produrre qualcosa di "originario"
che abbia un suo potenziale di fruibilità, riconoscibile per
consenso da parte della comunità. Il prodotto creativo è quindi
caratterizzato da tre elementi:
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Novità
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Fruibilità
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Consenso
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Ciò che è creativo è in qualche modo
originario, distinguendosi dalla tradizione ma confrontandosi con
essa. Originalità, creatività, eccentricità rispetto alla
tradizione ed eccellenza nel produrre caratterizzano quelle
personalità che chiamiamo geni. Queste personalità sembrano
associarsi ad un più alto rischio di sofferenza psichica,
sofferenza che può arrivare allevoluzione più drammatica,
cioè la morte per suicidio. Ricordiamo tra gli altri il poeta e
scrittore Cesare Pavese, il narratore americano Ernest Hemingway,
il filosofo Walter Benjamin, il pittore Vincent Van Gogh.
La relazione tra creatività e follia
costituisce enigma che affascina ed inquieta il pensiero
occidentale da millenni. La prima formulazione che conosciamo di
questo quesito risale ad una nota inserita nel canone
aristotelico, che conosciamo con il nome di problemata XXX.
"Perché tutti gli uomini eccezionali, nellattività
filosofica e politica, artistica e letteraria, hanno un
temperamento melanconico, alcuni a tal punto da essere perfino
affetti dagli stati patologici che ne derivano?"
Tra gli esempi citati vi sono quelli dei
filosofi Empedocle, Socrate e Platone. Il testo descrive
ampiamente le caratteristiche della melanconia, malattia mentale
tra le più gravi tra quelle note ai greci, e che oggi è
classificata tra i disturbi dellumore, essendo inclusa
nella sindrome depressiva e nella psicosi maniaco-depressiva.
La risposta che lo pseudo Aristotele dà al
quesito da lui stesso formulato è che "i melanconici sono
persone eccezionali, non per malattia ma per natura". Non è
la malattia che li fa grandi, dunque, ma è la loro grandezza che
è tale da superare la malattia.
Il tema del legame tra creatività e follia
attraversa fortune alterne nella storia dellOccidente, fino
a scomparire nel Medio Evo, quando la fedeltà alla tradizione
salva dalla barbarie; riaffiorerà prepotente nel Rinascimento. Laffermarsi
del nuovo Umanesimo si accompagna ad una riconsiderazione del
ruolo dellindividuo in quanto autore del proprio destino,
con una riformulazione anche delle caratteristiche che
contribuiscono a definire le sue capacità creative. Non è più
leccellenza, come per Aristotele, il motore della creatività,
bensì la capacità di essere originali. E ritenuto dai
pensatori dellepoca che la melanconia favorisca lessere
originali, in quanto la melanconia permetterebbe laccesso
agli stati meditativi.
Petrarca, primo poeta dellera moderna che
si riconosce dotato di genialità creativa, e si attribuisce
il diritto di essere riconosciuto come "poeta laureato"
così come gli antichi poeti latini e greci, e che soffrì di
ricorrenti episodi depressivi, proprio agli albori del
Rinascimento ammise che "non esiste alcun ingegno se non
mescolato alla pazzia" (dalla Epistola metrica a Zoilo).
Durante il Romanticismo il tema subisce nuova
trasformazione ed è la sregolatezza della passione, che già
aveva tormentato artisti come Michelangelo e Caravaggio, ad
alimentare insieme il fuoco della creazione artistica ed il
tormento della follia. Genio e follia formano quindi il binomio
necessario per il produrre creativo fino alla leggenda dellartista
incompreso, tenuto per folle perché troppo eccentrico rispetto
alla tradizione. Lesempio di Lord Byron diventa prototipo
dellartista romantico che trova realizzazione solo nelleccesso.
Come dimostrato dalla Jamison, una delle maggiori ricercatrici
del campo, Byron apparteneva ad una famiglia gravata dalla
patologia mentale.
Durante il Positivismo, reazione al
Romanticismo, la relazione fra genio e follia verrà indagata
nella direzione opposta, nel tentativo cioè di comprendere cosa
accomuni fra loro la creatività geniale, la devianza e la follia.
Cesare Lombroso, padre della moderna criminologia, in quel
periodo formulò lipotesi che ununica relazione
accomunasse il genio, il folle ed il criminale come tipi
particolari di devianza dalla media della popolazione generale.
Tale tendenza alleccesso avrebbe base ereditaria e
spiegherebbe il ricorrere nelle medesime famiglie di personalità
eminenti per creatività e personalità bizzarre nei
comportamenti.
In realtà la tendenza alla familiarità per la
creatività e la familiarità per alcune malattie mentali è un
dato riconosciuto, ma di cui si ignora la base costitutiva. Le
ipotesi di Lombroso vennero dibattute con studi che ne
confermarono in alcuni casi i fondamenti ed altri che ne
contestarono la validità. Lo psichiatra inglese Havelock Ellis,
per esempio, in uno studio condotto su oltre 2000 personaggi
eminenti britannici rilevò solo il 5% di psicosi, contestando
così le conclusioni di Lombroso, e affermando, al contrario, che
il genio per essere tale richiede una adeguata integrità psico-fisica.
Studi successivi, condotti con metodologie più
accurate, confermarono però che le professioni più creative,
sia nel campo dellarte che della ricerca scientifica, erano
gravate da un maggior rischio di patologia mentale e di mortalità
per suicidio. In particolare uno studio monumentale condotto in
Germania, durante gli anni 30 ma pubblicato solo dopo la
fine della seconda guerra mondiale, su oltre 5000 personalità di
cui vennero indagate la biografia e i destini familiari, osservò
un legame tra creatività artistica e disturbi dello spettro
schizofrenico e tra creatività scientifica e ciclotimia. Tale
associazione si estendeva anche ai discendenti, confermando la
familiarità del legame. Lautrice dello studio, Adele Juda,
suggerì lesistenza di una specificità della trasmissione
familiare del talento creativo. Per esempio musicisti hanno per
discendenti musicisti, matematici progenie con attitudini
matematiche.
Negli anni 60 lo psichiatra Karlsson
condusse un analogo ed esteso studio fra tutti coloro che, nati
in Islanda, erano citati nel Who s Who, repertorio delle
personalità eminenti. Karlsson osservò una familiarità elevata
per schizofrenia nelle famiglie più eccellenti dIslanda.
Il rischio non riguardava specificatamente le personalità più
creative ma i loro familiari. Lautore ipotizzò che il
medesimo fattore di natura biologica trasmissibile per via
ereditaria potesse favorire da una parte lo sviluppo di
associazioni mentali inusuali e quindi creative, ma dallaltra
implicasse un rischio maggiore di sviluppare malattie mentali.
A
questi studi ne fecero seguito altri che esplorarono in dettaglio
il ruolo di particolari disturbi mentali in attività creative
specifiche. Nancy Andreasen, eminente psichiatra Americana che
studiò letteratura prima di dedicarsi alla medicina, condusse
con i suoi collaboratori durante gli anni settanta una serie di
studi volti a caratterizzare lo stile di pensiero di alcuni
scrittori, soliti partecipare ai seminari di scrittura creativa
dell'Università dello Iowa. Contrariamente all'ipotesi iniziale,
che prevedeva una aumentata incidenza di schizofrenia tra le
personalità artistiche, la Andreasen osservò una prevalenza elevata di disturbi dell'umore tra gli scrittori studiati.
Analogamente, una aumentata frequenza di casi di depressione o di
psicosi maniaco-depressiva fu osservata da Kay Jamison, una delle
maggiori ricercatrici nel campo dei disturbi dell'umore, in uno
studio da lei condotto tra alcuni eminenti poeti Britannici.
Anche Joseph Schildkraut, uno dei padri della corrente "biologica"
in psichiatria, osservò una elevata frequenza di casi di
disturbi dell'umore in uno studio dedicato ai pittori dell'Espressionismo
Astratto Americano. Risultati simili furono riferiti anche da
Arnold Ludwig in uno studio condotto su oltre 1005 personalità
eminenti in campo creativo del ventesimo secolo, e da Felix Post,
psichiatra emerito Britannico, in uno studio biografico dedicato
a 291 uomini "eccellenti" per ingegno e creatività
vissuti negli ultimi due secoli.
Al di là dei risultati, il quesito sul legame
fra creatività e psicopatologia rimane sempre aperto. Secondo
alcuni autori la relazione fra creatività e psicopatologia è
solo apparente, influenzata da errori metodologici, dovuti al
fatto che la maggior parte degli studi si basa su biografie. Le
personalità che spiccano sulle altre sono anche più esposte
alla rivelazione di particolari privati della loro vita, inclusa
la presenza di malattie mentali, che normalmente, a causa dello
stigma negativo che le contraddistingue, vengono occultate.
Questo vizio da sovraesposizione condizionerebbe la apparente
maggiore prevalenza di disturbi mentali tra le personalità
eminenti per creatività. In realtà i disturbi mentali sono
relativamente diffusi, coinvolgendo circa il 25% della
popolazione generale.
Secondo altri autori, invece, la maggior
frequenza di disturbi mentali in chi svolge attività creative è
un dato reale. Utilizzando i dati di mortalità per suicidio, per
esempio, il sociologo Steven Stack ha osservato negli Stati Uniti
un rischio quasi tre volte superiore fra coloro che sono
registrati come artisti rispetto a coloro che svolgono
professioni manuali o impiegatizie. Il rischio di mortalità per
suicidio, che nella stragrande maggioranza dei casi è associato
a malattia mentale, risulta distribuito in maniera ineguale a
seconda dellattività creativa. Ci sarebbe un rischio
maggiore fra poeti e letterati rispetto a pittori e scultori, e
ancor più basso sarebbe fra gli architetti.
Percentuale di suicidi in un campione di artisti
eminenti vissuti negli ultimi due secoli
Poeti
|
692
|
18
|
2.6
|
Scrittori
|
1300
|
30
|
2.3
|
Drammaturgi
|
267
|
5
|
1.8
|
Scultori
|
93
|
1
|
1.0
|
Pittori
|
531
|
4
|
0.7
|
Architetti
|
210
|
1
|
0.4
|
|
|
|
|
Totale
|
3093
|
59
|
1.9
|
Fonte: Antonio Preti, Paola Miotto:
Suicide among eminent artists.
Psychological Reports, 1999; 84:
291-301
Se la relazione tra creatività e
psicopatologia è reale, in che modo la psicopatologia influenza
lespressione creativa?
Abbiamo detto prima che una delle
caratteristiche della creatività è ottenere consenso per i
propri prodotti. Secondo unipotesi, la malattia mentale
favorirebbe lautoaffermazione. In effetti esistono alcune
situazioni nelle quali individui sofferenti di patologia mentale
con tratti paranoidei non particolarmente grave, riuscirebbero
meglio dei sani ad acquisire la leadership in un gruppo. Anche i
maniaco-depressivi sembrano avere una particolare propensione ad
eccellere, soprattutto quando provenienti da ceti sociali già
avvantaggiati. Nellanoressia nervosa si riconosce una
particolare tenacia nel raggiungimento dei propri obiettivi, che
potrebbe spiegare lemergere di questi soggetti in
professioni competitive come quelle delle ballerine o delle
modelle.
Unaltra ipotesi sostiene che la malattia
mentale favorisca di per sé la creatività. Al proposito sono
citati come esempio la tendenza ad associazioni di idee inusuali
nella schizofrenia, che favorirebbero lemergere di idee
originali, e ciò sembra vero almeno nel campo della ricerca
scientifica in cui si contano alcuni grandi scienziati (un
esempio è costituito dal nobel per l'economia Nash) che
soffrivano di schizofrenia. Il flusso accelerato nella mania
potrebbe anchesso favorire la creazione artistica,
soprattutto in campo letterario (Stream of consciusness di Joyce);
laccesso a stati meditativi ed al ragionamento potrebbe
invece essere favorito dagli stati depressivi. E stato
dimostrato in effetti che soggetti depressi, non gravi, hanno una
maggiore capacità di giudizio rispetto ai sani, soprattutto in
situazioni ambigue.
La malattia mentale potrebbe favorire la
creatività in via indiretta, attraverso processi di
disinibizione. Molti disturbi mentali, infatti, si accompagnano
ad impulsività; questo potrebbe facilitare limpegnarsi in
progetti che altrimenti non verrebbero mai iniziati. Fenomeni di
facilitazione sono peraltro descritti per specifiche capacità:
esistono descrizioni cliniche di persone che dopo un ictus che
aveva leso una parte ristretta della zona limbica, area deputata
al controllo delle emozioni, avevano sviluppato interessi
artistici, in particolare nel campo della pittura, che prima mai
avevano coltivato. Particolare talento in ambito grafico sembrano
possedere anche bambini autistici, peraltro privi di capacità
relazionali.
Un effetto di tipo disinibitorio è riconosciuto
anche per sostanze come lalcool, la cocaina ed altri agenti
psicoattivi (le "droghe"). Un numero ampio di poeti e
scrittori, ma anche di pittori, soffrì di alcolismo (tra gli
altri Hemingway). Un ruolo delle droghe è riconosciuto anche
nella creatività nel campo della musica moderna, ma in questo
caso è dubbio se abbiano agito in senso favorente la creatività
o siano state usate a scopi autoterapici.
Alcuni aspetti della malattia mentale
potrebbero infine incrementare la creatività per un effetto di
massa, in quanto sarebbe aumentata la produttività, cioè il
numero di oggetti prodotti. E una caratteristica della
schizofrenia la perseverazione, cioè la ripetizione di parole,
gesti o comportamenti. Anche nella mania cè una tendenza
ad un aumentato coinvolgimento in attività di ogni genere (affaccendamento).
Interpretazioni sociologiche attribuiscono il
legame tra creatività e malattia mentale ad un processo di
selezione nella scelta della professione. Poiché le attività
creative possono essere discontinue, esse sono anche compatibili
con le irregolarità e le ricadute della malattia mentale. E
possibile quindi che si selezionino in queste professioni
soggetti sofferenti di un disturbo mentale.
Unaltra ipotesi ancora sostiene che la
professione creativa, in quanto espone allinsuccesso e alle
difficoltà economiche, favorirebbe lo sviluppo di disturbi
mentali, soprattutto di tipo ansioso o depressivo. Sappiamo
infatti che lo stress favorisce il precipitare di disturbi
psichici. In alcuni casi, ad esempio, insuccessi legati allattività
creativa hanno condotto al suicidio, per esempio lo scrittore
Morselli.
Unipotesi di tipo biologico, al contrario,
suggerisce che un medesimo fattore favorisca le capacità
cognitive legate alla creatività, ma condizioni anche un rischio
maggiore di sviluppare disturbi mentali. I circuiti della
dopamina, ad esempio, sono coinvolti nei processi di selezione
del segnale e delle informazioni come anche nei processi di
memoria. Una loro instabilità, però, è osservata nelle
reazioni anomale allo stress, nella depressione e nella
schizofrenia.
In una prospettiva terapeutica è interessante
lipotesi che vede la relazione tra creatività e
psicopatologia in direzione opposta a quella fin qui descritta.
Secondo la nostra ipotesi, la creatività eserciterebbe un
effetto protettivo sulla psicopatologia. Chi ha il dono di
sapersi esprimere creativamente in virtù del potere di
integrazione dei vissuti nellagire creativo tollererà
meglio la sofferenza mentale. Per conseguenza sarà più facile
che un soggetto creativo superi le conseguenze negative della
malattia mentale e conservi la capacità di essere produttivo in
una forma condivisibile ai più.
Noi sappiamo che la malattia
mentale compromette non solo ladattamento socio-relazionale,
ma anche la capacità stessa di organizzare la comunicazione tra
mondo interno e realtà esterna. Levento creativo in
qualche modo ripristina la capacità comunicativa in quanto
attinge alla dimensione simbolica dei vissuti interni, guidandone
lespressione allinterno dei limiti formali che sono
propri della specificità tecnica adottata (il pittore dovrà
conoscere la tecnica pittorica, il musicista le regole della
composizione e così via).
Ed è proprio questa felice unione fra il magma
polivalente dei simboli e i limiti imposti dalla tecnica che dà
origine o permette il ripristino del potenziale di comunicazione
che la malattia mentale potrebbe aver interrotto. Per esempio la
associazione simbolica del delirio può trovare un senso ed un
ordine nellimmagine visionaria fissata dalla parola poetica.
Già Otto Rank, allievo prediletto e poi ripudiato di Sigmund
Freud, riteneva che la creazione artistica traesse spunto dai
conflitti irrisolti dellinconscio, che trovavano soluzione
formale in forma sublimata nelloggetto artistico. Tale
prodotto poteva a sua volta esser goduto come piacere estetico da
parte dei fruitori, che avevano modo di proiettare nellopera
finita quelle tensioni e contraddizioni che appartengono al mondo
interno di ognuno. Uninterpretazione, questa, che richiama
quella aristotelica della catarsi delle emozioni. Secondo
Aristotele lopera teatrale della tragedia esercitava il suo
potere intellettivo sullo spettatore proprio perché lazione
dei personaggi permetteva lo sciogliersi delle tensioni emotive
accumulate nella vita quotidiana.
Ci sembra che il senso dellArt Therapy
consista proprio nel permettere di riappropriarsi attraverso la
coerenza del gesto artistico del rapporto fra il proprio mondo
simbolico e la necessità della comunicazione. Il simbolo si
costituisce come parte delloggetto che rimanda ad una sua
interezza, persa in quanto irrimediabilmente frammentata, ma che
nellincontro con lAltro può trovare occasione di
ricongiungimento.
Esiste un mito greco sullorigine della
parola simbolo, che conserva un fascino inalterato dal
trascorrere dei tempi. Simballein in greco significa <riunire>.
Il mito racconta che in tempi antichi, quando due amici si
separavano per andare incontro al proprio destino spezzavano in
due una tavoletta con inciso un cartiglio (un disegno particolare,
unico per ogni coppia di amici); questa tavoletta era chiamata
<simbolon>. Se in un futuro lontano si fossero ritrovati,
trasformati dalle circostanze della vita, essi avrebbero potuto
riconoscersi mettendo insieme i due frammenti delloriginale
"simbolon", il cui cartiglio avrebbe ritrovato
significato proprio da questo ricongiungimento.
LArt Therapy diventa quindi occasione di
ricongiungimento di parti frammentate del Sé nellincontro
con lAltro da Sé. Nella sessione di art therapy lAltro
da sé ha uno statuto collettivo, lAltro è appunto il
gruppo che ha nel maestro darte il suo leader, e che
permette il confronto nello scambio comunicativo con quelle parti
di sé espulse perché difficili da accettare o non riconosciute
perché occultate a causa dellangoscia che evocano.
Passo successivo allagire creativo a
scopi terapeutici è il completo riappropriarsi della capacità
di comunicazione che prescinda dal continuo confronto con i lati
bui della nostra mente. Nel parlare e nel vivere quotidiano,
infatti, non sentiamo la necessità di decodificare i simboli del
nostro mondo interno, che affiorano spontaneamente nei nostri
atti.
Vorremmo concludere con una provocazione, un
aneddoto che risale allepoca eroica degli esperimenti che
condussero alla chiusura dei manicomi. Racconta la pittrice
Rosalba Rossi, che conduceva un atelier di art therapy allinterno
dellospedale psichiatrico di Cagliari negli anni settanta:
<<Stavamo dipingendo insieme, un gruppo di pazienti ed io.
Ad un certo punto uno dei pazienti mi disse: "perché devo
disegnare quellalbero se posso guardarlo ?">>
Oggi possiamo guardare la risposta che a questo
quesito hanno dato i ragazzi del Centro Diurno, che non si sono
accontentati di guardare lalbero.
Testo della conferenza tenuta il 26 Agosto 2000
a Tambre (Belluno), in occasione della mostra "
prendo
il sole in faccia, bevo molta pioggia
" organizzata dal
Centro Diurno del Dipartimento delle Dipendenze di Conegliano,
Ulss 7 Regione Veneto.
Si ringraziano per la cortese disponibilità la
Direttrice della Biblioteca di Tambre; la Dottoressa Annunziata
Licci, organizzatrice dellincontro; la Dottoressa Michela
Frezza, responsabile del Dipartimento delle Dipendenze di Conegliano; il Dottor Alessandro Beccagli, co-ordinatore del
Centro Diurno del medesimo Dipartimento.
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