MAPPE, CONCETTI E CORRELAZIONI

In questo saggio vogliamo proporre un’ipotesi sul funzionamento della mente. Secondo quest’ipotesi, i costrutti mentali appartengono a due importanti famiglie. La prima riguarda concetti, la seconda concerne mappe. La funzionalità della mente, inoltre, si concretizza attraverso alcune attività attenzionali, tra cui quella di costruire la relazione riferimento/riferito e di "tenere insieme". Queste due attività sintetizzano la facoltà di correlare.

In seguito cercheremo di spiegare quanti più possibili fenomeni mentali utilizzando esclusivamente concetti, mappe e attività attenzionali (riferimento/riferito, tenere insieme…)

Per semplificare il discorso, analizzando le diverse aree funzionali dell’encefalo, ometteremo quelle subcorticali ed il cervelletto, fondamentali per il movimento. I nostri riferimenti riguarderanno, quindi, soprattutto, la corteccia cerebrale.

 

FUNZIONI ATTENZIONALE, PREATTENZINALE E POSTATTENZIONALE

Tutte le attività mentali riguardanti le varie modalità e submodalità percettive e mnestiche si realizzano per mezzo di specifici circuiti.

Ciascun circuito è costituito da aree corticali e subcorticali. Inoltre tutti i circuiti funzionano in modo analogo

La percezione visiva e i processi mnestici ad essa legata, per esempio, sono ripartiti in circuiti che concernono diverse submodalità. Per la percezione ed il ricordo di oggetti fermi la mente utilizza un circuito diverso rispetto alla percezione ed al ricordo di oggetti in moto. Anche la visione dei colori avviene tramite un apposito circuito che agisce indipendentemente dagli altri.

Ogni circuito svolge due fondamentali funzioni: funzione inattenzionale (preattenzionale e postattenzionale) e funzione attenzionale

La funzione attenzionale avviene attraverso un’attività mentale consapevole; la funzione preattenzionale e quella postattenzionale avvengono tramite meccanismi automatici.

 

La funzione attenzionale e preattenzionale

Per capire come la mente espleta la funzione attenzionale e quella preattenzionale, partiamo da un esempio.

Supponiamo di avere uno scanner e di voler effettuare la scansione di alcune figure della pagina di un libro.

Per fare ciò mettiamo sul vetro dello scanner la pagina in oggetto e selezioniamo la prima figura, quindi effettuiamo la scansione. Analogamente facciamo con la seconda figura. Le due immagini scannerizzate sono quindi inserite nella memoria del computer e possono essere “associate” ad una pagina scritta o ad altri “oggetti” già memorizzati.

Ebbene, la funzione attenzionale è simile all’attività che svolgiamo quando effettuiamo la scansione di un “oggetto” e associamo questo “oggetto” con un altro. La funzione preattenzionale consiste nella preparazione, tramite automatismi, di materiale da scansionare.

Durante la fase preattenzionale la mente costruisce le pagine del libro con immagini, suoni, su cui effettuare la scansione prima e l’associazione e correlazione poi.

Piuttosto che di un libro è meglio parlare di un enorme foglio elettronico contenente suoni, figure, sensazioni tattili, odori, sapori, …

Questo foglio elettronico è preparato istante per istante dai vari sistemi sensoriali, attraverso l’elaborazione automatica delle informazioni provenienti dai recettori sensoriali. Su questo foglio elettronico, o meglio sulle sue proiezioni si concretizza la scansione dei vari “oggetti” effettuata dalla funzione attenzionale.

Ovviamente il sistema nervoso è più complesso di quanto questo semplice modello fa supporre. Innanzi tutto è necessario che la costruzione del foglio elettronico sia in qualche modo “organizzata” altrimenti l’attività di scansione sarebbe difficoltosa. A questo proposito, c’è da dire che il foglio elettronico è ripartito in aree diverse, una per ogni sistema sensoriale. Anche le proiezioni degli “oggetti” presenti sul foglio si raggruppano per modalità sensoriale.

 

Gli “oggetti” del foglio elettronico, oltre che per modalità sensoriale, si raggruppano organizzandosi secondo tipologie particolari che dipendono dalle “informazioni” che i neuroni possono trasmettere.

E’ opportuno, quindi, occuparci dell’organizzazione dei sistemi sensoriali

La trattazione che segue e tratta dal testo “Principi di neuroscienze” di E.R.Kandel, J.H.Schwartz, T.M.Jessell

I SISTEMI SENSORIALI

“Weber e Fechner scoprirono che sistemi sensoriali mediano quattro attributi dello stimolo: la modalità (o qualità), l’intensità, la durata e la sede, che sono fuse insieme nelle sensazioni.

 

Modalità

Forme diverse di energia sono trasformate dal sistema nervoso in modalità sensoriali differenti. Sono state identificate cinque principali modalità sensoriali: la visione, l’udito, il gusto, il tatto e l’olfatto. Nell’ambito di ciascuna modalità si distinguono qualità diverse o submodalità. Per esempio nel gusto si distingue il dolce, l’acido, il salato e l’amaro; il colore e la percezione del movimento degli oggetti sono submodalità della visione.

La modalità è una proprietà delle fibre nervose sensoriali.Ogni fibra nervosa è attivata da un certo tipo di stimolo in quanto stimoli diversi attivano fibre nervose diverse. A loro volta le fibre nervose stabiliscono connessioni specifiche a livello del sistema nervoso centrale e sono proprio queste connessioni ad essere responsabili della specificità della sensazione.

 

Intensità

L’intensità della sensazione dipende dall’intensità dello stimolo. L’intensità dello stimolo è codificata dalla frequenza di scarica e dalle dimensioni della popolazione neuronale attivata.

Durata

La durata della sensazione di uno stimolo è definita dalla relazione tra l’intensità dello stimolo e l’intensità percepita dello stimolo. In generale, quando uno stimolo persiste per un certo tempo, l’intensità della sensazione diminuisce e a volte finisce.

Localizzazione

La localizzazione della sensazione si può definire come la consapevolezza delle proprietà spaziali della sensazione. Essa dipende dal fatto che i recettori e i neuroni sensoriali del sistema nervoso centrale hanno campi recettivi.

Ogni recettore sensoriale ha un campo recettivo, che è costituito dallo spazio recettivo entro cui esso si trova e del quale provvede alla trasduzione degli stimoli. Per esempio il campo recettivo di un meccanocettore somatosensitivo (per il tatto) è quella parte di cute innervata direttamente dalle terminazioni del recettore alla quale bisogna aggiungere anche quella parte di tessuto adiacente attraverso la quale lo stimolo tattile può propagarsi fino alle terminazioni del recettore stesso. Il campo recettivo di un fotorecettore è quella parte della retina in cui il recettore è situato. I neuroni che fungono da recettori convergono su neuroni di secondo ordine che a loro volta entrano in contatto con neuroni di terzo ordine e questi poi con neuroni di ordine superiore. I campi recettivi di ordine superiore sono di dimensioni maggiori rispetto a quelli che fungono da recettori. Essi, infatti, ricevono afferenze convergenti da centinaia di recettori. I campi recettivi dei neuroni centrali sono più complessi, in quanto alloro interno possono essere sensibili a caratteristiche specifiche dello stimolo, come il movimento dello stimolo in una particolare direzione del campo visivo. Inoltre, a differenza dei campi recettivi dei neuroni sensoriali che sono semplici e solo eccitatori, quelli dei neuroni sensoriali di ordine superiore possiedono di norma zone eccitatorie e zone inibitorie. L’aggiunta di una zona inibitoria al campo recettivo costituisce un importante meccanismo per aumentare il contrasto tra gli stimoli e quindi fornisce ai sistemi sensoriali l’opportunità di aumentare il loro potere di risoluzione spaziale.

Non tutti i recettori sono direttamente implicati nel processo di localizzazione spaziale dello stimolo. Per esempio i recettori uditivi sono sensibili alla frequenza dei suoni e non alla sede da cui si originano: la localizzazione spaziale è una proprietà dei neuroni uditivi centrali. Mentre i neuroni delle strutture acustiche periferiche codificano la frequenza degli stimoli, i recettori gustativi ed olfattivi codificano la chemospecificità delle sostanze.”

 

L’organizzazione topografica

La caratteristica che più colpisce dei sistemi sensoriali è costituita dal fatto che le relazioni spaziali esistenti a livello della superficie recettoriale periferica, sia essa la retina, la coclea o la cute, sono conservate ai vari livelli del sistema nervoso centrale. Per esempio, gruppi di cellule retiniche vicine proiettano a gruppi di cellule talamiche contigue, che a loro volta proiettano a regioni contigue della corteccia visiva. Esiste dunque, a livello di ogni stazione sinaptica delle vie visive, una mappa visuotopica di natura nervosa. Non tutte le parti del campo visivo possiedono però un’eguale rappresentazione a livello di questa mappa. La regione centrale della retina, che è l'area di maggiore acuità visiva, è rappresentata in un'area enormemente più grande rispetto alla sua estensione, perché le informazioni provenienti da questa regione vengono ritrasmesse da un elevato numero di neuroni che stabiliscono contatti sinaptici con un numero ancora più elevato di neuroni centrali.

Anche la superficie corporea è rappresentata in una mappa somatotopica a livello della corteccia somatosensitiva. Anche questa mappa non è una semplice rappresentazione dei recettori cutanei secondo un rapporto di uno ad uno. Le regioni che sono particolarmente importanti per la discriminazione sensitiva, come la punta delle dita e le labbra, possiedono connessioni più sviluppate con la corteccia e quindi le loro rappresentazioni occupano, nella mappa corticale, aree proporzionalmente più vaste della loro estensione.

Stimolazioni acustiche con toni di frequenze diverse eccitano regioni distinte di ritrasmissione interposti lungo la via uditiva, per cui, tutto lo spettro acustico, al quale l'orecchio è sensibile, è rappresentato in una mappa tonotopica.

Nelle vie motorie i neuroni che controllano specifiche regioni corporee sono raggruppati insieme e nel complesso formano una mappa motoria, che è particolarmente evidente a livello della corteccia motrice primaria. La mappa motoria, al pari di quelle sensoriali, non è uniforme, in quanto l'estensione della rappresentazione centrale è in relazione con la finezza del controllo dei movimenti delle varie parti del corpo.

 

Ogni sistema contiene vie diverse

Nei sistemi sensoriali, (unitamente a quelli motori e motivazionali) si distinguono, sia dal punto di vista anatomico che da quello funzionale, diversi subsistemi, ciascuno dei quali svolge compiti specifici. Per esempio, ogni modalità sensoriale (udito, visione, tatto, ecc.) è mediata da un particolare sistema. All'interno di ogni sistema specifico si distinguono vie ancora più specializzate. Il sistema visivo, per esempio, possiede vie distinte per la percezione di oggetti immobili rispetto all'osservatore e per la percezione del movimento di oggetti seguiti con lo sguardo dall'osservatore. Queste vie lavorano di concerto per la percezione del movimento degli oggetti. Allo stesso modo, vie somatosensitive anatomicamente distinte, come quelle per il tatto e il dolore, ritrasmettono alla corteccia cerebrale informazioni provenienti da recettori cutanei diversi.

Anche il sistema motorio è costituito da diverse vie specifiche, che decorrono dai centri cerebrali superiori di elaborazione al midollo spinale. Per esempio, il tratto piramidale controlla i movimenti volontari fini delle dita e della mano, mentre altre vie motorie controllano la postura e regolano i riflessi spinali.”[i]

 

I PROCESSI PREATTENZIONALI RELATIVI ALLE MAPPE

Nel prosieguo della trattazione parleremo dapprima dei processi preattenzionali, successivamente di quelli attenzionali.

I processi preattenzionali riguardano tanto il sistema che si occupa delle mappe, quanto i sistemi modale e motivazionale

Le aree primarie costruiscono mappe tridimensionali statiche e dinamiche. Le mappe corporee sono costruite dalla corteccia somatosensitiva primaria e dalla corteccia motrice primaria. Le mappe del mondo esterno sono costruite dalla corteccia visiva e dalla corteccia uditiva.

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Le mappe corporee tridimensionali dinamiche.

Il movimento consiste di due fondamentali componenti il tempo e lo spazio. Il tempo è dato dalla durata di un singolo movimento e dalla successione temporale (prima/dopo) di più movimenti. Lo spazio è costituito dall’organizzazione dei neuroni motori. Essi sono raggruppati in rapporto alle specifiche regioni corporee che controllano. La corteccia motrice primaria è costituita, infatti, da una mappa motoria del nostro corpo.

Quando passeggiamo, ad ogni passo tutto il corpo si sposta nell’ambiente esterno. Istante per istante si modifica la posizione relativa di ciascun distretto corporeo sia nei confronti del mondo esterno sia ciascun distretto rispetto all’altro. Per poterci muovere, è necessario quindi che il cervello conosca queste due componenti in tempo reale.

Per conoscere in tempo reale la posizione relativa di ciascun distretto corporeo, la corteccia motrice primaria costruisce in tempo reale una mappa dinamica tridimensionale con funzioni motorie. Quando si effettua un movimento essa modifica istante per istante tale mappa utilizzando, per la componente spaziale l’organizzazione somatotopica, per la componente temporale le proprietà relative al tempo dei motoneuroni attivati.

Immediatamente dopo il movimento, i propriocettori dei muscoli, delle articolazioni e dell’apparato vestibolare nonché i recettori periferici della cute forniscono le informazioni necessarie affinché la corteccia motrice primaria possa, in tempo reale, ricostruire la nuova posizione del corpo per modificarla ed effettuare un nuovo movimento.

Anche la corteccia somatosensitiva primaria costruisce microsecondo per microsecondo una mappa corporea dinamica tridimensionale Lo fa, però, con funzioni percettive.

Essa, inoltre rappresenta in ciascun punto di questa mappa le sensazioni somatiche (caldo/freddo, liscio/ruvido, leggero/pesante…).

Le mappe corporee sono quindi due. Ciò accade negli animali superiori, dove i complessi movimenti necessitano di strutture ad hoc.

Per quanto riguarda la mappa percettiva essa riceve informazioni dalla periferia tramite i fusi neuromuscolari ed i recettori cutanei sulla posizione istante per istante dei distretti corporei. La sua organizzazione somatotopica e la successione temporale delle informazioni fanno il resto.

C’è da dire che la corteccia motrice primaria acquisisce buona parte delle sue informazioni sulla posizione del corpo dopo il movimento proprio da parte della corteccia somatosensitiva primaria.

Le due mappe però, ai fini del movimento da sole non bastano. Esse, infatti, danno al cervello la consapevolezza della posizione di ciascun distretto corporeo l’uno rispetto all’altro. Per eseguire un movimento è necessario che qualche altra area primaria costruisca una mappa tridimensionale dinamica del mondo esterno

E’ quanto fanno la corteccia visiva primaria e la corteccia uditiva primaria.

Ambedue, oltre a questa importante funzione hanno anche funzioni cognitive analogamente alla corteccia somatosensitiva (sistema modale).

Le mappe dinamiche tridimensionali del mondo esterno

Le mappe del mondo esterno sono costruite dalla corteccia occipitale per la visione e dalla corteccia uditiva primaria per l’udito.

La corteccia occipitale (area V1, V2, V3, V4, MT, MST), attraverso meccanismi ben analizzati costruisce istante per istante il mondo esterno, utilizzando quattro vie che si occupano rispettivamente: 1) della forma, 2) del colore 3) dello spazio, 4) del movimento. Le prime due vie costituiscono il sistema parvicellulare; le seconde due vie costituiscono il sistema magnocellulare.

Il sistema magnocellulare si occupa della costruzione della mappa dinamica tridimensionale degli oggetti esterni a livello visivo.

La costruzione della mappa dinamica tridimensionale avviene tramite le due proprietà fondamentali dei neuroni che consentono di codificare la sede ( o meglio lo spazio) e il tempo dello stimolo. La struttura retinotopica della corteccia visiva primaria fa sì che l’organizzazione spaziale del mondo esterno si riconfiguri a livello cerebrale.

Mentre ci muoviamo nel mondo esterno, istante per istante, il sistema magnocellulare costruisce le mappe spaziali, dinamiche e temporali del mondo che ci circonda e che noi percepiamo con la vista. La mappa dinamica ci consente di cogliere in tempo reale i mutamenti di forma degli oggetti (si ingrandiscono se ci avviciniamo a loro…) e i loro movimenti nello spazio. Quella spaziale in virtù dell’organizzazione visuotopica dell’intero sistema, registra la posizione nello spazio degli oggetti; quella temporale memorizza gli eventi del mondo esterno a livello visivo nella loro successione temporale.

Mappe analoghe sono costruite dalla corteccia uditiva primaria.

Si tratta di mappe che istante per istante forniscono informazioni sulla localizzazione di qualsiasi sorgente sonora presente nello spazio circostante e sulla durata e successione temporale di ciascun suono proveniente da sorgente fissa o da sorgente in movimento.

Abbiamo già detto che la corteccia uditiva primaria ha un’organizzazione tonotopica, la cui funzione è di differenziare e riconoscere i suoni in base alla loro frequenza (funzione modale).

Per costruire la mappa spaziale fondamentale per localizzare nello spazio circostante le sorgenti sonore, il cervello utilizza una particolare strategia.

Le afferente provenienti dalle due orecchie sono combinate insieme da vie ascendenti che attraversano a diverse riprese la via mediana, formando estese connessioni binaurali. Le vie uditive operano la separazione delle informazioni che riguardano il tempo d’arrivo dei segnali e la loro intensità relativa che sono gli elementi binaurali su cui si basa il sistema che analizza la provenienza dei suoni nello spazio.

A livello della corteccia cerebrale le cellule binaurali tendono a raggrupparsi in due tipi diversi di colonne, a disposizione alternata dette rispettivamente: colonne di sommazione e colonne di soppressione. Nelle colonne di sommazione la risposta binaurale di ciascuna cellula è maggiore della risposta monoaurale; nelle colonne di soppressione si osserva la dominanza delle afferente che provengono da una delle due orecchie: le risposte cellulari alle afferente dell’orecchio dominante sono sempre maggiori delle risposte alle afferente monoaurali. Le colonne di questo tipo potrebbero essere in relazione con mappe corticali che codificano la localizzazione dei suoni nello spazio.[ii]

 

I PROCESSI PREATTENZIONALI DEL SISTEMA MODALE

Compito delle aree primarie non è soltanto quello di costruire mappe dinamiche spaziali e temporali del corpo e del mondo esterno. Esse raccolgono e organizzano informazioni. Hanno funzione cognitiva.

Abbiamo detto che tutti i sistemi sensitivi sono organizzati in modo analogo. In particolare nel sistema nervoso centrale si ha un’organizzazione colonnare.

 

Le sensazioni somatiche

La seconda funzione espletata dalla corteccia somatosensitiva primaria è, come abbiamo detto, quella di costruire le sensazioni somatiche

Sappiamo che le afferenze alla corteccia somatosensitiva sono organizzate in colonne devolute a submodalità diverse. Le cellule di alcune colonne sono attivate da recettori cutanei di Meissner a rapido adattamento, quelli di altre colonne da recettori cutanei di Merkel a lento adattamento o da recettori sensibili al movimento dei peli e quelle di altre colonne, infine, da recettori sottocutanei del Pacini a rapido adattamento. Tutti i neuroni di una colonna ricevono inoltre afferenze dalla medesima zona cutanea. [iii]

La corteccia somatosensitiva primaria (area SI) è ripartita in quattro aree somatotopiche: 3a, 3b, 1 e 2 di Brodmann. Ciascuna di queste aree riceve afferenze da tutti i tipi di recettori sensoriali. In ciascuna di esse però prevale uno specifico recettore. L’area 3a è innervata soprattutto dai recettori da stiramento muscolare; l’area 3b da recettori cutanei; nell’area 2 prevalgono i recettori da pressione profonda, nell’area 1, infine sono presenti in consistente numero i recettori cutanei a rapido adattamento. Queste quattro aree proiettano a due aree associative la SII e la corteccia parietale posteriore.[iv]

La nostra ipotesi è che ciascun tipo di colonna o la combinazione di due o più tipi di colonne determina le sensazioni di: caldo/freddo, liscio/ruvido, leggero/pesante, asciutto/bagnato, caldo/freddo… Per ogni distretto corporeo è possibile quindi elaborare qualsivoglia sensazione somatica.

La corteccia somatosensitiva primaria, quindi, costruisce istante per istante la posizione dei vari distretti corporei e le “informazioni cognitive” somatiche di ciascun distretto.

Queste informazioni sono quindi organizzate a livello spazio/temporale.

Questo processo avviene automaticamente in modo indipendente dalla nostra volontà.

 

Le sensazioni visive

Il sistema parvicellulare è ripartito in due vie: parvicellulare interblob (forme e senso della profondità), parvicellulare blob (colori)

Le cellule blob sono sensibili al colore e proiettano alle strisce sottili di V2 e da qui all’area V4 (giro fusiforme). Le cellule interblob si connettono con le strisce pallide di V2 che sono sensibili all’orientamento delle linee e sono connesse con V3.

Il colore è quindi analizzato dal sistema parvo ed ha stazione terminale in V4. Cellule sensibili alla direzione e quindi impegnate nella percezione della forma sono presenti in più aree ma particolarmente in quelle V2, V3 e V4.[v]

Possiamo affermare che il sistema parvicellulare costruisce gli “oggetti esterni” con la loro forma ed il loro colore. Istante per istante volgendo gli occhi al mondo esterno la corteccia visiva primaria costruisce una mappa spaziale del mondo circostante nonché la forma ed il colore degli oggetti esterni. Esegue questa importante funzione in modo automatico

La percezione visiva si sviluppa a livello filogenetico come percezione di oggetti in movimento e successivamente di oggetti fermi. Ricordiamo che, per esempio, le rane non vedono gli insetti immobili. Per potersi cibare una rana, quindi, ha bisogno che un insetto si muova davanti al suo campo visivo. La percezione e riconoscimento di oggetti tramite il movimento è più semplice rispetto al riconoscimento tramite la forma.

Se osserviamo volare una zanzara ed un moscerino possiamo differenziarli tramite la tecnica di volo che altro non è che il percorso compiuto.

La difficoltà nel percepire un oggetto immobile deriva dal fatto che non è possibile con movimenti oculari volontari rappresentarsi la forma dell’oggetto. Se noi disegnassimo con gli occhi la forma di un oggetto che guardiamo, per esempio una bottiglia, dovremmo, istante per istante, ridisegnarla se ci avviciniamo, allontaniamo da essa oppure ci giriamo intorno. Non potremmo, inoltre, seguire con gli occhi un oggetto in movimento. Esso, infatti, essendo percepito da distanze e prospettive diverse cambierebbe continuamente forma e gli occhi sarebbero impossibilitati a svolgere la funzione di inseguimento, poiché sarebbero costretti al gravoso compito di ridisegnare continuamente la forma mutante dell’oggetto.

Percepire gli oggetti immobili è possibile se e solo se, la loro “forma” sia costruita a monte cioè con un processo automatico e preattenzionale. E’ inoltre necessario che questo processo riesca istante per istante a fornire le informazioni sulle continue trasformazioni della forma dell’oggetto percepito..

Le sensazioni uditive

L’organizzazione tonotopica della corteccia uditiva primaria consente la costruzione di suoni che variano nel tempo in funzione della frequenza. La teoria più accreditata per spiegare come il cervello differenzi i suoni sulla base delle loro frequenze è la teoria della localizzazione

Questa teoria mette alla base del riconoscimento di una vasta gamma di frequenze acustiche la presenza di connessioni ordinate fra nervo acustico e strutture cerebrali. Se la fibra innerva una cellula ciliata posta nei pressi della base della coclea, dove vengono trasdotte le frequenze acustiche elevate, l'attività della fibra stessa sarà interpretata dal sistema nervoso centrale come uno stimolo di frequenza elevata, mentre l'attività di fibre che innervano l'apice della coclea segnalerà l'arrivo di stimoli acustici di bassa frequenza. Le fibre che innervano zone intermedie della coclea forniranno le informazioni relative a un largo spettro di frequenze intermedie.

Il riconoscimento dei suoni del linguaggio pone grossi problemi al sistema uditivo. Infatti, i suoni del linguaggio sono prodotti da vibrazioni di alta frequenza delle corde vocali che evocano effetti risonanti nel tratto vocale, sopratutto per opera della bocca e della lingua. In effetti, la bocca e la lingua sono sede di vibrazioni di frequenza relativamente bassa che modulano le onde di alta frequenza, prodotte dalle corde vocali. Sarebbe quasi impossibile riconoscere direttamente i suoni prodotti dalle vibrazioni della bocca e della lingua, in quanto hanno frequenze dell'ordine di 10 Hz, vale a dire frequenze inferiori a quelle che costituiscono il limite inferiore dei suoni udibili. Tuttavia, se tali suoni sono modulati, l'orecchio può, in effetti, decodificarli. In primo luogo, la sintonia selettiva dei recettori e delle fibre del nervo acustico permette al sistema di funzionare come un analizzatore di frequenze in modo tale che gli elementi formativi del linguaggio, che sono i picchi delle frequenze spettrali che caratterizzano i suoni prodotti dalle diverse vocali, siano rappresentati, nelle singole fibre nervose, sotto forma di scariche di potenziali d'azione aventi proprietà temporali e spaziali caratteristiche. In secondo luogo, le singole fibre dell'VIII N. finiscono con l'avere frequenze di scarica che riflettono sia le frequenze elevate, originate dalle vibrazioni delle corde vocali, che le frequenze più basse, che il linguaggio produce per via delle vibrazioni della bocca e della lingua. In tal modo l’orecchio finisce col funzionare come un demodulatore radio capace di estrarre informazioni significative di bassa frequenza da un’onda portante di frequenza elevata.

La corteccia uditiva primaria costruisce, quindi, in modo automatico tutti i suoni percepibili, localizzandoli nei vari punti dello spazio extracorporeo. Si tratta di un continuum sonoro spazio/temporale costruito istante per istante.

 

La corteccia prefrontale

A livello preattenzionale la mente costruisce un continuum spaziale (oggetti immobili), spazio/temporale (oggetti in moto) e temporale per la visione; un continuum spaziale (sorgente sonora immobile), spazio/temporale (sorgente sonora in movimento) e temporale per quanto riguarda l’udito. Anche per quanto concerne il sistema somatosensitivo la mente costruisce tre continuum (spaziale, spazio/temporale e temporale)

Queste mappe hanno la funzione di trasferire in modo organizzato l’ordine spaziale, temporale e spazio/temporale, così come determinato dalle sensazioni.

Si tratta di un’organizzazione che configura l’ordine temporale con cui le varie sensazioni giungono nelle aree primarie nonché l’ordine spaziale e spazio/temporale della “realtà” che ci circonda.

L’organizzazione dello spazio e del tempo, però ha anche una dimensione sovraordinata rispetto a questa.

Si tratta del frazionamento di questi continuum preattenzionali.

Supponiamo di camminare in una via trafficata di una città. Dallo spazio che ci circonda giungono suoni ( e silenzi). Essi sono organizzati all’interno di un continuum spaziale. Noi possiamo volontariamente con un atto attenzionale “selezionare” una sorgente sonora. In questo caso frammentiamo il continuum spaziale, delimitandone una porzione che corrisponde alla posizione della sorgente sonora. Questo atto attenzionale è realizzato dalla “corteccia prefrontale”. Con un secondo atto attenzionale possiamo selezionare una seconda sorgente sonora e con ulteriori processi attentivi determinare la “distanza” tra le due sorgenti.

Lo spostamento dell’attenzione avviene nelle mappe della corteccia parietale. La selezione dello spazio avviene con l’utilizzo del sistema modale.

Quando l’attenzione percorre le mappe, i neuroni del sistema modale i cui campi recettivi cadono all’interno dello spazio percorso dall’attenzione, si attivano. Se il suono che è percepito è significativo, esso è selezionato e, nella corteccia parietale automaticamente sarà selezionato lo “spazio virtuale” che corrisponde all’oggetto modale

 Si tratta di una strutturazione dello spazio che avviene a livello sovraordinato rispetto alle mappe spaziali. Realizzare questa strutturazione è compito della corteccia prefrontale.

In modo analogo possiamo frazionare il continuum temporale.

Supponiamo di ascoltare una persona che parla. I suoni e i silenzi che provengono da quella sorgente sonora costituiscono un continuum temporale. La nostra attenzione può selezionare le sillabe delle parole, le parole o le frasi. Possiamo prestare attenzione all’intervallo di tempo tra una frase e l’altra o tra una parola e l’altra. Anche in questo caso è la corteccia prefrontale che si occupa di questa strutturazione temporale.

Ovviamente le aree della corteccia prefrontale che si occupano di “percorrere” le mappe sono diverse rispetto a quelle che si occupano degli oggetti..

 

I PROCESSI ATTENZIONALI

Il funzionamento attenzionale è analogo per ogni sistema sensoriale. Per tale motivo, utilizzeremo come modello esplicativo il sistema sensoriale visivo, che è quello più studiato.

Supponiamo di guardare una scena per individuare un oggetto.Tramite la corteccia prefrontale spostiamo l’attenzione lungo la mappa percettiva parietale. Automaticamente a livello “postattenzionale” nella corteccia visiva primaria si attivano tutti i neuroni i cui campi recettivi confluiscono nel “percorso” attenzionale. La componente modale visiva (colori e forma) costruisce le immagini e noi “vediamo”, tramite essa, gli oggetti percorsi dall’attenzione. Selezioniamo un oggetto, tramite l’attenzione, nella corteccia occipito/temporale. Esso è un “percetto”. Automaticamente, in seguito a questa selezione attenzionale, nella corteccia parietale si accendono i neuroni i cui campi recettivi coincidono con lo spazio formale occipito/temporale.

Questi neuroni parietali agiscono all’interno delle mappe e lo spazio selezionato lo chiamiamo “spazio virtuale”

Se indichiamo con una freccia la funzione attenzionale e con un tratto la funzione postattenzionale avremo:

 

Corteccia frontale → corteccia parietale ▬ corteccia occipitale ▬ corteccia occipito/temporale.

Corteccia frontale → corteccia occipito/temporale ▬ corteccia occipitale ▬ corteccia parietale

 

Fino a questo momento i processi attenzionali sono due ed interdipendenti. Il primo parietale (dinamico), il secondo occipito/temporale (selezione).

La funzione attenzionale parietale sposta l’attenzione lungo un percorso spaziale. Ad essa segue un processo postattenzionale di percezione delle immagini.

La seconda funzione attenzionale avviene quando una delle immagini intraviste viene selezionata.

Ad essa segue un processo postattenzionale nel quale lo spazio virtuale si attiva nelle mappe parietali.

Il “percetto”, come già detto, è l’oggetto selezionato. Esso deve essere distinto dal “concetto”.

Il percetto è ciò che viene percepito in una determinata circostanza. Il concetto è la memorizzazione del “percetto” Il percetto è unico.  Il concetto è la sintesi mnestica di più percetti.

Concetto e percetto stanno nella relazione riferimento/riferito. Quando vediamo qualcosa e la riconosciamo, il processo di riconoscimento avviene riferendo il “percetto” al “concetto” depositato in memoria.

Anche spazio virtuale e percetto stanno nella relazione riferimento/riferito.

Siamo di fronte ad un’ulteriore attività attenzionale (la terza), quella di effettuare riferimenti.

Dalla duplice relazione del percetto con concetto e mappa, si origina l’esperienza. Tutto ciò che vediamo contribuisce a costruire i due sistemi di riferimento: quello mappale e quello concettuale. Nello stesso tempo ogni oggetto nuovo percepito si inserisce e viene valutato sulla base dei riferimenti concettuali e mappali.

L’insieme degli spazi, dei tempi e dei dinamismi virtuali che si originano dall’esperienza e dalla selezione di percetti fermi ed in moto, organizza l’esperienza su base spazio-temporale.

Se, per esempio, entriamo in una stanza ed osserviamo la posizione di vari oggetti, dopo la selezione fronto/occipito/temporale si formerà nella corteccia parietale la mappa della stanza ed all’interno di essa verrà memorizzata la disposizione degli oggetti osservati (spazi virtuali). Con un successivo atto attenzionale la mente riferisce i vari percetti ai molteplici spazi virtuali. In tal modo la conoscenza si organizza su basi spaziali.

Nella corteccia inferotemporale, intanto la mente provvede alla costruzione di concetti ai quali riferire i percetti.

In tal modo l’esperienza si organizza su basi concettuali.

Il doppio riferimento (concettuale e mappale) consente di costruire l’esperienza ordinandola secondo due diverse strutture organizzative.

 

Concetto ← percetto → mappa

 

La formazione dei concetti

Il processo di concettualizzazione avviene anche passando dal generale al particolare, tramite confronti.

Supponiamo di avere il concetto di “lattuga” e di essere davanti a due tipi di lattuga diversi. Osserviamo i due percetti ed analizziamo, tramite confronto, le differenze tra l’uno e l’altro. Queste differenze possono essere di tipo modale (colore e forma) o di tipo spaziale/posizionale (grandezza, posizione relativa tra le foglie). I due percetti, di volta in volta, vengono riferiti al “concetto” di lattuga depositato in memoria. Dopo reiterate osservazioni, il concetto di lattuga si differenzia in due concetti più specifici “lattuga romana” e “lattuga brasiliana”..

Questo processo di concettualizzazione avviene in modo quasi automatico attraverso un duplice operare attenzionale: attività di confronto e attività di riferimento.

Nei primi stadi di apprendimento si passa da concetti molto generici a concetti sempre più specifici. Il bambino per imparare i suoni dell’alfabeto della propria lingua madre, effettua concettualizzazioni che racchiudono più suoni (rispetto alla concettualizzazione di un adulto). Con l’esperienza impara a differenziare sempre più suoni fino a quando anche quelli che si distinguono per un solo tratto distintivo (per esempio: p e t) sono memorizzati.

La concettualizzazione, come si evince da quanto detto, dipende dall’esperienza. Vi sono popolazioni che distinguono soltanto cinque colori. Un pittore ne differenzia un centinaio.

Un musicista può riconosce un “do” suonato sulla tastiera del pianoforte. Una persona comune “sente” una “nota”.

Il processo di concettualizzazione può avvenire anche in assenza di confronti. Se stiamo per molto tempo davanti ad una sola persona le numerose osservazioni ci consentono di memorizzarla. In questo caso ad agire è l’operare attenzionale del “riferimento” e del “tenere insieme”. Quando guardiamo la persona per la prima volta riconosciamo un volto. L’immagine percepita, però proietta nell’area della concettualizzazione. Una seconda osservazione genera un “percetto” che viene riferito all’immagine concettualizzata. Ogni ulteriore percezione genera questo riferimento, fino a quando l’immagine in memoria si rafforza e diviene traccia stabile.

Il volto, però è un percetto o concetto complesso in quanto costituito da più concetti o percetti “tenuti insieme”. (occhi, naso, bocca, …) Se osserviamo il flocculo, cioè la parte relativa ai due occhi, e poi osserviamo il volto nel suo complesso, il flocculo viene inserito all’interno del volto, con un processo di riferimento; analogamente possiamo fare col naso, con la bocca, le labbra osservandole dettagliatamente. In tal modo con l’osservazione dettagliata e con il “tenere insieme” il concetto che si forma diviene più specifico.

Abbiamo detto che l’attività di confronto indica un ulteriore processo attenzionale. Il confronto, però, altro non è che una serie di riferimenti Se confrontiamo due oggetti riferiamo più volte l’uno all’altro.

Per questo motivo consideriamo questa attività attenzionale come secondaria rispetto alle precedenti, che sono attività attenzionali primarie.

Abbiamo detto che “percetti” ed i “concetti” possono essere semplici o complessi. Il colore rosso è un percetto o concetto semplice. Un’autovettura è un percetto o concetto complesso.Il “percetto” semplice è costituito dalla sola componente modale; il percetto complesso è costituito da componenti modali e mappali.

La memorizzazione dei percetti non riguarda solo la componente modale (concetto) ma anche la componente “mappale”.

Supponiamo di voler memorizzare i due volti di Giovanni e Francesco. Effettuiamo una serie di confronti delle componenti modali. Notiamo che Francesco ha gli occhi castani e Giovanni ha gli occhi verdi. Osserviamo la forma del viso, del naso del “flocculo”, delle orecchie, …Questa serie di confronti seguite da riferimenti contribuiscono alla concettualizzazione.

I volti di Giovanni e Francesco, però, si differenziano anche per la “posizione” dei componenti e per la loro grandezza. Queste sono informazioni che riguardano le mappe.Le ripetute osservazioni mi fanno notare le differenze tra la grandezza del naso di Francesco rispetto a quello di Giovanni; oppure che Giovanni ha la bocca più vicina al naso rispetto a Francesco.

Indichiamo col termine di “mappa concettuale” la memorizzazione delle relazioni mappali di un “concetto complesso”

Il riconoscimento di Giovanni avviene attraverso il suo concetto e la sua mappa concettuale

Anche le “mappe concettuali” analogamente ai concetti si formano attraverso un processo che va dal generale al particolare.

Il volto umano è concettualizzato attraverso una mappa concettuale generica. Il volto di una persona cara ha una propria rappresentazione mappale.

Anche la costruzione delle mappe concettuali avviene tramite confronti e riferimenti. La mappa percettiva è riferito rispetto alla mappa concettuale che è riferimento.

Se incontriamo un amico, la corteccia frontale riferisce il “percetto” al concetto; riferisce pure la mappa percettiva (le relazioni mappali percepite in quel momento) alla mappa concettuale.

Perché la grandezza di un oggetto è concettualizzata nelle mappe?

Se guardiamo un oggetto, per comprenderne la grandezza, dobbiamo rapportarlo al nostro corpo onde valutare la distanza dal punto di osservazione. Questa valutazione è impossibile senza mappe. Si può supporre, però che la grandezza di un concetto possa essere valutata anche attraverso un confronto con un altro concetto. Se non altro possiamo riconoscere quale tra i due è più grande. La mente potrebbe quindi tenere insieme nella memoria di lavoro due “concetti” spazialmente strutturati e confrontarne la grandezza. Anche questa attività mentale è impossibile. Infatti, i due “concetti” devono essere inseriti all’interno dello stesso sistema di riferimento, che altro non è che una mappa spaziale.

Senza le mappe spaziali, spazio/temporali e temporali non è possibile memorizzare le distanze le grandezze, il prima ed il dopo, … Possiamo però valutare le differenze di colore e di forma. Infatti, la differenza tra un quadrato ed un triangolo è concettuale poiché non dipende da una mappa. Paradossalmente, per avendo il “concetto” di quadrato, non possiamo riconoscere la differenza di grandezza tra due quadrati se non utilizziamo una “mappa spaziale”.

Chiamiamo “oggetti fisici” i “percetti” inseriti all’interno delle “mappe percettive”.

Chiamiamo “concetti semantici” i “concetti” inseriti all’interno delle “mappe semantiche”.

Le “mappe semantiche” sono “mappe mnestiche” che memorizzano le strutture e le relazioni spaziali, temporali e spazio/temporali dei “concetti”.

Il volto di Giovanni, che vedo per la prima volta è quindi è un “percetto”. Anche la bocca, il naso, gli occhi sono “percetti”.  Inseriti all’interno della mappa percettiva, tutti questi percetti diventano “oggetti fisici”. In tal modo acquisiscono relazioni spaziali gli uni con gli altri.

Dopo reiterate osservazioni i “percetti” sono inseriti in memoria, diventano quindi “concetti”. Analogamente anche la “mappa percettiva” viene inserita in memoria e diviene “mappa concettuale”. I “concetti” all’interno delle “mappe concettuali” costituiscono “concetti semantici”.

Per la costruzione dei “concetti” il cervello si serve dell’intermediazione dell’ippocampo. L’utilizzo di questa struttura che media tra le attività della corteccia è dovuta ad una precisa esigenza.

La “concettualizzazione” è un processo mnestico.

Il cervello, mentre impara le relazioni spaziali, spazio/temporali e temporali tra percetti che formano un concetto, le memorizza. Così può facilmente riconoscere l’oggetto “concettualizzato”.

C’è il problema, però, che, non tutto ciò che viene percepito può essere immagazzinato in memoria, pena l’implosione del sistema. E’ bene quindi che solo alcuni eventi importanti siano ricordati.

Attraverso la mediazione dell’ippocampo vengono immagazzinate in memoria sotto forma di concetti le esperienze emotivamente importanti, nonché quelle frutto di reiterate osservazioni.

 

Sistema operativo e sistema semantico

Chiamiamo “sistema operativo” il sistema attenzionale che agisce sulle “mappe percettive” e quindi sugli “oggetti fisici”. Chiamiamo “sistema semantico” il sistema attenzionale che agisce sui “concetti” e sulle “mappe concettuali”. Il “sistema operativo” si occupa della “percezione” e del movimento. Il “sistema semantico” si occupa della memoria degli oggetti e delle azioni.

 Anche la percezione dei colori, rientra nel sistema operativo. Infatti, anche se i colori non hanno strutture spaziali o temporali, essi sono associati direttamente alla forma dell’oggetto percepito.

Questo avviene grazie all’organizzazione retinotopica, colonnare della corteccia visiva primaria. Infatti, il percetto selezionato a livello occipito/temporale, costituito da neuroni con specifici campi recettivi, attiva automaticamente nella F4 (area preposta alla costruzione dei colori) quei neuroni che hanno gli stessi campi recettivi dei neuroni visivi selezionati dall’attenzione.

Per questo motivo noi non possiamo non vedere i colori di un oggetto selezionato dall’attenzione.

Anche per quanto riguarda i colori vi sono due aree preposte alla “percezione” ed alla “concettualizzazione”. La distruzione della prima area ha come conseguenza l’acromatopsia. I soggetti affetti da tale patologia non vedono i colori. La distruzione dell’area concettuale genera “amnesia per i colori”: si percepiscono i colori ma non si riconoscono.

Finora abbiamo riscontrato cinque funzioni attenzionali: dinamica, selettiva, di confronto, di riferimento, di “tenere insieme” La mente, in qualche modo espleta, a livello attenzionale un’ulteriore fondamentale funzione. Essa è quella di costruire un “oggetto fisico” partendo dai concetti e dalle mappe concettuali. Tutti noi siamo in grado, dopo aver visto un oggetto ed averlo memorizzato di immaginarlo. L’oggetto immaginato è un “percetto” inserito nelle “mappe percettive”. Si tratta, infatti, di un oggetto fisico specifico, con precise dimensioni visto da una certa prospettiva. Anche quando parliamo i suoni che emettiamo sono “oggetti fisici” con la loro specifica intonazione, intensità, posizione nel tempo e nello spazio. Essi sono ricavati dai suoni depositati in memoria e quindi dai concetti.

E’ probabile che in questo caso, il procedimento sia inverso al quanto abbiamo visto per la concettualizzazione. Quando richiamiamo alla mente qualcosa effettuiamo un riferimento inverso. Il concetto viene riferito al percetto.

Supponiamo di voler immaginare il colore verde nelle sue sfumature. Noi non riusciamo ad immaginare le innumerevoli sfumature di verde che possiamo percepire. Immaginiamo soltanto quelle che abbiamo concettualizzato. Analogamente se pensiamo ad una persona conosciuta non riusciamo ad immaginarla in tutte le innumerevoli posizioni e prospettive con cui possiamo percepirla dal vero. La immaginiamo in alcune posizione, mentre cammina in un alcuni modi. In altri termini, utilizziamo i concetti e le mappe concettuali depositate in memoria. Da esse tramite riferimento attiviamo specifiche mappe percettive e percetti e l’immagine si forma nella sua completezza..

Si potrebbe supporre che per la rappresentazione mentale non sia necessario l’intervento delle aree percettive. Il fatto che non è così è dimostrato dall’acromatopsia. Distrutta l’area f4 funzionale alla percezione dei colori, non si riesce nemmeno ad immaginarli.

Ricordare, però, non vuol dire soltanto richiamare alla mente scene ed azioni. E’ un processo più complesso che coinvolge un ulteriore processo attenzionale, cioè “la correlazione”. Di ciò ci occuperemo più avanti.

 

L’autotopoagnosia come “chiave” chiarire alcune caratteristiche dei concetti e delle mappe

L’autotopoagnosia (perdita della conoscenza spaziale del proprio corpo) consiste in una difficoltà selettiva (riguarda solo le parti del corpo) ad indicare, sia su ordine verbale, che su imitazione, parti del corpo che vengono correttamente riconosciute una volta isolate da parte dell’esaminatore. Si tratta di una patologia abbastanza rara.

Per diagnosticare la seguente patologia si usano test che richiedono una mediazione verbale e test non verbali.

Un esempio di test con mediazione verbale è l’invito volto al paziente di toccare su di sé una parte del corpo su comando verbale (Tocca l’orecchio sinistro!). Un esempio di test non verbale consiste nell’invito volto al paziente di toccare su se stesso la parte del corpo corrispondente ad un disegno mostrato dall’esaminatore.

L’autotopoagnosia si manifesta dopo lesioni tumorale della corteccia parietale sinistra.

Per spiegare questa patologia sono state proposte tre ipotesi

La prima è detta ipotesi spaziale

“Se si considera il corpo come un insieme finito, l’isolamento di una parte specifica richiede la costruzione di un’immagine mentale della disposizione spaziale di come le varie parti siano poste in relazione tra loro e nell’intero insieme: se tale capacità viene a mancare si osserverà una dissociazione tra riconoscimento e denominazione (mantenuti) da una parte e indicazione e descrizione dei vari distretti corporei (deficitari) dall’altra. Tale dissociazione rappresenta la caratteristica principale dei pazienti autotopoagnosici.” [vi]

Si è però anche visto che c’è una relazione tra i meccanismi cognitivi deputati alla conoscenza e all’orientamento corporeo ed il linguaggio. Un paziente, in seguito a lobectomia temporale sinistra sviluppò un disturbo specifico nei compiti di denominazione e comprensione di parti del corpo, che tuttavia sapeva indicare correttamente su imitazione.

In questo caso si suppone che il deficit piuttosto che la rappresentazione mentale del corpo riguardi un deficit concettuale linguistico

“Alcuni autori hanno così proposto un’ipotesi concettuale multipla. Sono giunti a formulare questa ipotesi dopo lo studio di un paziente autotopoagnosico descritto da Sirigu e coll. Questo paziente compiva due tipi di errori. Errori di contiguità (indicazione di parti vicine al segmento corporeo indicato dall’esaminatore, Ad es. ginocchio → coscia ) e similarità (errore concettuale ad esempio gomito → polso). Mentre gli errori per similarità erano prevalenti nei test verbali, gli errori di contiguità erano più frequenti indipendentemente dalle condizioni di test. Su tale base gli autori ipotizzarono che la conoscenza corporea possa essere organizzata in due sistemi, il primo su criteri linguistici e funzionali, il secondo che contiene una rappresentazione visuospaziale; in caso di danno selettivo del primo compariranno disturbi lessicali specifici per i nomi del corpo, in caso del danno del secondo, si evidenzierà una dissociazione tra test di indicazione e conoscenza funzionale”[vii]  Secondo la nostra teoria, l’autotopoagnosia di tipo spaziale riguarda le mappe concettuali. Essa, infatti, insorge dopo lesioni alla corteccia parietale.

Al contrario, l’autotopoagnosia linguistica e funzionale riguarda i concetti. Essa si manifesta dopo lesioni temporali

Consideriamo un paziente autotopoagnosico di tipo spaziale. Egli riconosce la mano e le dita ma non riesce ad indicare queste ultime.

Sappiamo che il “concetto” di “mano” è spazialmente strutturato. Se così non fosse, non si capisce come la mente potrebbe, attraverso il concetto, riconoscere la mano. Sappiamo, inoltre che l’ippocampo costruisce “mappe” per quanto deve essere conservato in memoria a livello concettuale. Ebbene, perché la mente non utilizza il “concetto” di “mano” per ricavare la posizione delle dita, che sono comprese in questo “concetto”?

L’unica spiegazione è che la struttura concettuale non è destrutturabile.

In altre parole, pur avendo immagazzinato a livello di concetto il “volto”, il cervello non può scomporre questo “concetto” nei suoi costituenti e quindi ricavare la posizione degli occhi rispetto al naso.

A mio avviso i “concetti” sono organizzati per “campi concettuali”.

A livello concettuale i numerosi volti visti durante la vita e ricordati sono memorizzati all’interno di un “campo concettuale” comune. Ciascun volto concettualizzato non è scomponibile nei suoi costituenti. Gli occhi fanno parte di un diverso “campo concettuale”. Esso racchiude in memoria alcuni tra i molteplici occhi “percepiti” prima e “concettualizzati” poi.

L’autotopoagnosia ci consente di formulare ipotesi sulle formazione delle “mappe”.

Quando il soggetto autotopoagnosico guarda una persona o un manichino egli vede “il corpo”, “le braccia”, “le gambe”.... Riconosce ciascuna parte ed è anche in grado di percepirne le relazioni spaziali. Il problema dell’autotopoagnosico non è “percettivo” ma “mnestico”. Egli non ricorda le relazioni spaziali riferite ai “concetti”. Questo conferma che oltre ai concetti, agli oggetti fisici e alle mappe percettive, il cervello costruisce anche mappe “mnestiche”. Esse hanno una funzione analoga ai “concetti”. Questi ultimi memorizzano i percetti, le mappe mestiche (o concettuali) memorizzano le mappe o meglio le “relazioni”.

In che modo il cervello costruisce le mappe concettuali?

A mio avviso il procedimento è il seguente. Le informazioni preattenzionali provenienti dai recettori sensoriali, relative a ciascun oggetto percepito, proiettano in più aree della corteccia parietale. Quando l’attenzione selettiva della corteccia prefrontale seleziona un percetto, si accendono varie popolazioni di neuroni distribuiti nella corteccia parietale. Ciascuna di queste popolazioni costituisce una mappa dell’oggetto stesso preposta ad una specifica funzione. Una di queste mappe ha la funzione di memorizzare la posizione delle parti del corpo umano. L’osservazione selettiva del braccio, della mano, del torso, attiva in quest’area neuroni i cui campi recettivi corrispondono alla mano, al braccio, al torso. Attraverso l’esperienza e la percezione di più corpi umani, manichino compreso, la mente può costruire in quest’area la “mappa concettuale” del corpo umano.

Una persona adulta, quindi possiede “campi concettuali” della mano, del braccio, del torso, che gli consentono di riconoscerli. Inoltre possiede una “mappa concettuale” del corpo umano che gli consente di riconoscere la posizione delle varie parti, l’una rispetto all’altra. In tal modo durante la “percezione” degli oggetti fisici e delle mappe percettive, si attivano le aree preposte ai concetti e alle mappe concettuali per il riconoscimento.

Le azioni

Il cervello utilizza aree specifiche per la percezione del movimento. Si tratta delle aree MT e MST. Analogamente ai percetti immobili, anche i “percetti motori” (movimenti) possono essere memorizzati e quindi concettualizzati. Chiamiamo azione la concettualizzazione del movimento.

Gli esseri viventi eseguono una serie innumerevole di movimenti, tanto che essi, a volte, possono essere riconosciuti sulla base del movimento eseguito

Le azioni possono essere equiparate ai “concetti”.

Abbiamo visto che il “concetto” di “volto” si costruisce per contiguità spaziale tra i vari componenti (gli occhi, il naso, la bocca) grazie alla funzione attenzionale del “tenere insieme”. Inoltre, è nostra ipotesi che il “percetto” o “concetto” di volto forma un blocco non destrutturabile e che la destrutturazione è possibile solo all’interno delle “mappe” (percettive o concettuali).

L’azione è un costrutto dinamico. Se vediamo o ricordiamo il movimento di Giovanni che mangia una mela, a livello concettuale o percettivo abbiamo una sequenza di movimenti associati per contiguità spaziale e continuità temporale.

In altre parole, il volto è costituito da “percetti” associati per contiguità; l’azione è costituita da movimenti associati per contiguità spaziale e continuità temporale.

Anche le azioni hanno le loro mappe.

D’ora in avanti, per “movimento” intenderemo il dinamismo al di fuori delle “mappe”; per “azione” intenderemo il “movimento concettualizzato” I “movimenti”, le “azioni” e le “mappe” possono essere “percettivi” o “concettuali”, a seconda se riguardano la percezione o il ricordo.

Come i “concetti” e i “percetti” non sono destrutturabili al di fuori delle “mappe”, analogamente i “movimenti” (percettivi e concettuali) non sono destrutturabili al di fuori delle “mappe”.

Abbiamo detto che i “percetti” all’interno delle “mappe percettive” formano gli “oggetti fisici” e che i “concetti” all’interno delle “mappe concettuali” formano i “concetti semantici”.

Analogamente il “movimento” all’interno delle “mappe percettive” costituisce il “movimento fisico”, la “azione”, all’interno delle “mappe concettuali” determina la “azione concettuale”.

Gli “oggetti fisici” riguardano quegli specifici oggetti visti o rappresentati in un preciso momento. Durante la “percezione” la mente costruisce dapprima l’oggetto fisico successivamente il “concetto semantico”. Nella rappresentazione mentale il processo è inverso: dal “concetto semantico” si passa allo “oggetto fisico”. Infatti, noi non possiamo rappresentarci un concetto semantico. L’immagine che si forma nella nostra mente quando ci rappresentiamo qualcosa è un’immagine specifica, un “oggetto fisico”.

Analogamente i “movimenti fisici” riguardano quegli specifici movimenti visti o rappresentati in un preciso momento.

Durante la percezione la mente costruisce dapprima il movimento fisico successivamente l’azione semantica. Durante la rappresentazione mentale il processo è inverso: dall’azione semantica si passa al movimento fisico. Non possiamo rappresentarci un’azione semantica; possiamo però immaginare uno specifico movimento.

Il movimento, però oltre che immaginato o rappresentato, può essere eseguito.

Il movimento eseguito è sempre “movimento fisico”. Esso ha come riferimento il corpo o la parte del corpo che si sposta.

Come il “concetto” nasce da ripetute “percezioni”, così la “azione concettuale” si origina da ripetuti “movimenti fisici”. La lettera “a” scritta per la prima volta è un “movimento fisico”. Quando esso è stato “memorizzato”, viene “concettualizzato”.

L’azione è costituita da un “range” di tratti distintivi (flessione/distensione di vari muscoli) che determina un risultato significativo (In questo caso la scrittura della lettera “a”). Durante la giornata quasi tutti i movimenti fisici che facciamo sono immagazzinati in memoria come “azioni concettuali”.  Per l’agire quotidiano la mente parte dall’azione per giungere al movimento

Ovviamente l’azione, svolgendosi all’interno di un ambiente che si modifica istante per deve essere inserita all’interno delle mappe percettive parietali. Queste mappe sono costruite in tempo reale dalla corteccia somatosensitiva primaria e dalle cortecce primarie della visione e dell’udito.

A mio avviso le azioni sono memorizzate nelle cortecce premotorie. Funzione della corteccia prefrontale è l’integrazione (riferimenti) tra azione, concetto e mappe.

Nell’ambito del linguaggio la mente riferisce i concetti semantici (concetti + mappe) alle azioni concettuali (azioni + mappe), quando riproduce per iscritto o oralmente quanto percepito.

Il processo completo è piuttosto complesso e coinvolge più aree della corteccia cerebrale.

Si parte dai percetti, da questi si passa ai concetti, dai concetti alle azioni, dalle azioni ai movimenti. Tutti all’interno delle rispettive mappe.

Se ascoltiamo e ripetiamo il suono “mare”, i processi mentali sono i seguenti:

 

Percetto → concetto → azione → movimento

Mappe percettive → Mappe concettuali. → Mappa spaziale (parte del corpo in movimento) Mappa temporale (sequenza di atti motori) → Mappa spaziale (parte del corpo in movimento) Mappa temporale (sequenza di atti motori)

 

Le mappe attivano aree parietali, le azioni ed i movimenti attivano aree frontali.

 

LE CATEGORIE

Vaccarino ritiene che l’attività attenzionale si configuri attraverso “momenti attenzionali” che possono essere “applicati” alle informazioni sensoriali o “puri” (se sono applicati su se stessi).

L’attenzione può essere “applicata” o “interrotta”. I momenti attenzionali, inoltre. (applicati o interrotti) sono tenuti insieme dalla “memoria strutturante”.[viii]

Secondo Vaccarino, le categorie si differenziano una dall’altra per la “struttura” dei loro elementi costituenti.

Questo modo di intendere l’attività attenzionale è plausibile. Ciò che non convince è la modalità con cui si formano le innumerevoli strutture categoriali. Vaccarino sostiene che tutte le categorie si attengono attraverso tre processi che egli chiama: di metamorfizzazione, inserimento e combinazione. Questi processi riguardano due categorie dalle quali se ne ottiene una terza. I risultati di questo operare mentale sono categorie sempre più complesse che racchiudono in se oltre al proprio significato anche quello delle categorie da cui sono generate.

Alcune semplici considerazioni ci inducono a credere che ciò non sia possibile.

Consideriamo le categorie “vicino” e “lontano” oppure “alto”e “basso”

Nel momento in cui osserviamo una persona, in tempo reale ci accorgiamo se è alta o bassa oppure se è vicina o lontana.

Poiché l’agire attenzionale è un atto consapevole, dovremmo avere una qualche “coscienza” dell’atto costruttivo delle categorie tramite i momenti attenzionali, in particolare se si tratta di categorie complesse.

L’impressione che abbiamo, quando osserviamo una persona e notiamo che è alta, è che questa consapevolezza avvenga in modo quasi automatico, allo stesso modo di come avviene il riconoscimento. Più che un processo attenzionale, questo sembra un processo postattenzionale.

C’è da dire, però, che le categorie di “alto” e “basso” hanno un significato relativo. Esse, infatti, dipendono da qualcosa con cui un oggetto viene confrontato.

Luigi, infatti, può ritenersi “alto” se confrontato con Francesco, “basso” se confrontato con Andrea.

Quando, guardiamo una sola persona e riscontriamo che è alta, è probabile che effettuiamo un confronto con un “prototipo” di media altezza.

Lo schema relativo al confronto potrebbe essere il seguente. I due segmenti in basso rappresentano l’attenzione che seleziona il primo percetto e poi il secondo “percetto”, mentre il segmento in alto designa l’attenzione che “tiene insieme” i due percetti con la pausa attenzionale.

Anche questa interpretazione non è plausibile. Infatti, le categorie di alto e basso dipendono non solo da un confronto ma anche dalla distanza dell’oggetto rispetto a chi lo osserva. In altre parole, dipendono anche dalle mappe. Si tratterebbe quindi di confronti di “percetti” o “concetti” all’interno delle mappe.

Io ritengo, però, che, all’origine di questi costrutti mentali, vi siano soltanto le mappe e per tale motivo le indico col termine di “categorie

Definiamo come categoria un costrutto mentale per il quale l’agire attenzionale concerne solo le mappe.

Le categorie di “alto” “basso”, “grande”, "piccolo” a mio avviso si costruiscono in questo modo.

Supponiamo di guardare una persona. La corteccia prefrontale seleziona il percetto nella “occipito/temporale” e postattenzionalmente si forma nella corteccia parietale lo “spazio virtuale” relativo alla persona osservata. Questo “spazio virtuale” è inserito nella mappa del mondo esterno, costruita dalla corteccia visiva primaria e proiettante nella parietale posteriore.

L’accensione dei neuroni occipito/temporali genera l’attivazione di tutte le popolazioni di neuroni parietali, inferotemporali, prefrontali i cui campi recettivi cadono all’interno dello spazio selezionato.

Nella corteccia inferotemporale, come già detto, proietta la componente “modale” della percezione. Qui il “percetto” diviene “concetto” e la persona viene riconosciuta. Se si tratta di uno sconosciuto, il riconoscimento concerne semplicemente il fatto che siamo presenti davanti ad un essere umano di sesso maschile, adulto.

Nella corteccia parietale si attivano le “mappe concettuali” dove sono memorizzati i ricordi delle varie grandezze e altezze delle persone incontrate. Nel momento in cui la “mappa percettiva” relativa alla persona osservata, accende i neuroni delle mappe concettuali, in tempo reale ne viene misurata la grandezza o l’altezza.

Per il riconoscimento della persona (corteccia inferotemporale), e per il riconoscimento della grandezza (corteccia parietale) è meglio parlare di riferimento. Esso avviene immediatamente, come un’impronta che poggia su un’altra impronta e viene misurata.

Concetto ← percetto → spazio virtuale percetto (MAPPA PERCETTIVA) → spazio virtuale concetto (MAPPA CONCETTUALE)

Le categorie si formano in modo analogo a quanto avviene per i concetti.

Supponiamo di osservare un oggetto posto davanti a noi. Attenzionalmente possiamo selezionare lo spazio virtuale che separa l’oggetto dal nostro corpo all’interno della mappa “percettiva” costituita dal mondo esterno e dal nostro corpo (spazio personale/extrapersonale).

Questa mappa percettiva accende i neuroni di un’analoga mappa concettuale che funge da riferimento rispetto alla prima.Lo spazio percepito proiettante sulla mappa concettuale diviene spazio categorizzato

La misura dei vari spazi che separano i molteplici oggetti dal corpo vengono memorizzate e categorizzate. La mente quindi, osservando un percetto, misura e riconosce tramite riferimento mappale la distanza che separa questo percetto dal corpo. Lo spazio virtuale categorizzato viene indicato col termine “vicino” In modo analogo si costruiscono le categorie di “lontano”, “distante”, …

 

Spazio virtuale che separa il nostro corpo dall’oggetto percepito (MAPPA PERCETTIVA) →

Spazio virtuale categorizzato relativo alle distanze degli oggetti dal corpo (MAPPA CONCETTUALE)

Spazio virtuale oggetto percepito (MAPPA PERCETTIVA) →  

Spazio virtuale oggetto categorizzato come VICINO (MAPPA CONCETTUALE)

 

Correlazioni e preposizioni

La mappa spaziale che è formata dallo spazio virtuale del nostro corpo inserita all’interno della mappa del mondo esterno è utilizzata spessissimo dalla mente per la costruzione di svariate categorie. Questa mappa, infatti, è costituita da due sistemi di riferimento. La mappa del mondo esterno funge da riferimento generale; lo “spazio virtuale” del nostro corpo è inserito all’interno di questo riferimento generale e funge da riferimento locale. Quando un ulteriore “spazio virtuale” di un qualsiasi altro oggetto si inserisce all’interno di questa “mappa concettuale”, esso viene localizzato sulla base del riferimento generale e del riferimento alla mappa del corpo.

Questo procedimento consente la costruzione delle “categorie” sotto/ sopra, dentro/fuori, avanti/dietro, vicino/lontano…Si tratta di avverbi di luogo o di tempo.

La categoria/avverbio “sopra” designa uno spazio virtuale che occupa una determinata posizione rispetto all’ambiente esterno ed al nostro corpo. Significati analoghi hanno le altre categorie.

A volte si rende necessario localizzare uno “spazio virtuale” riferendolo ad un oggetto esterno (il tavolo), piuttosto che al nostro corpo..

In questo caso la mappa concettuale è costituita da un riferimento generale e dallo spazio virtuale del tavolo.

Quando un ulteriore spazio virtuale si inserisce all’interno di questa mappa concettuale ( sistema di riferimento generale e spazio virtuale del tavolo) esso viene localizzato sulla base di questi riferimenti.

Questo procedimento consente la costruzione delle categorie/preposizioni sotto/sopra, dentro/fuori, …

. Consideriamo il costrutto “sotto il tavolo”. Si tratta di una correlazione, che i grammatici chiamano “sintagma preposizionale”.

La correlazione designa un duplice operare mentale della corteccia frontale. Quando correliamo, “teniamo insieme” due concetti o categorie e li riferiamo l’uno all’altro. Due costrutti correlati formano un “blocco” e possono essere correlati con un altro costrutto o con un altro “blocco”

La correlazione segue la categorizzazione.

A livello di costruzione del significato (categorizzazione) lo spazio virtuale di sopra, sotto è riferito rispetto al riferimento generale ed allo spazio virtuale dell’oggetto presente nella stanza. Quando, però effettuiamo la correlazione il sopra diviene riferimento rispetto al concetto (riferito)

Il termine “sotto” designa una posizione nello spazio riferita allo spazio virtuale del tavolo (riferimento)

Quando però correlo la categoria sotto con il concetto di tavolo (sotto il tavolo), è il concetto ad essere riferito alla posizione. Infatti, il costrutto sotto il tavolo è costituito da un “sintagma preposizionale”

In basso è illustrata la formazione della categoria sotto. Più giù c’è lo schema della correlazione sotto il tavolo. La parentesi designa l’attività attenzionale del “tenere insieme”

 

Spazio virtuale percettivo tavolo                   Spazio virtuale concettuale tavolo

                                                                                              

Spazio virtuale posizionale percettivo sotto Spazio virtuale posizionale concettuale sotto

 

 

(Spazio virtuale posizionale concettuale sotto      concetto di tavolo)

 

Osserviamo il primo schema.

Se è disturbata l’area percettiva mappale il soggetto ha difficoltà nel “percepire” la posizione di un oggetto relativa all’altro; una lesione all’area delle mappe concettuali consente di “vedere” la posizione senza poterla comprendere.

Supponiamo di aver costruito la correlazione “sotto il tavolo”. Possiamo riferire la “posizione” sotto il tavolo ad un concetto (il libro), avremo la correlazione il libro sotto il tavolo

Come si può notare, in questa circostanza, avviene il processo inverso rispetto a quanto si verifica più frequentemente. Infatti, di solito, è il percetto o concetto che viene riferito alle mappe (inserendosi) Nelle correlazioni il concetto può essere riferito ad uno spazio virtuale diverso, oppure uno spazio virtuale può essere riferito al proprio concetto. Qualora effettuassimo il riferimento concetto → spazio virtuale, non avremmo una correlazione ma semplicemente un concetto semantico.

I verbi indicano i movimenti concettualizzati, cioè le azioni.. Se riferiamo l’azione al concetto avremo la correlazione soggetto ← predicato.Quando è il concetto ad essere riferito all’azione, avremo la correlazione predicato ← complemento oggetto Tanto le azioni quanto i concetti, prima di essere correlati tra loro possono avere altre correlazioni.

I movimenti, inserendosi nelle mappe determinano la formazione di “spazi virtuali dinamici” Il procedimento è analogo a quanto visto con i concetti.

La selezione di un movimento attiva nella corteccia parietale tutti i neuroni i cui campi recettivi corrispondono al movimento selezionato attenzionalmente. Questi neuroni fanno parte del sistema delle mappe. Si formeranno, per ogni movimento, degli spazi virtuali dinamici. Questi spazi dinamici possono essere concettualizzati analogamente a quanto accade con gli spazi virtuali.

Gli spazi virtuali dinamici concorrono alla formazione di svariate categorie.

Per esempio la categoria “a” designa uno spazio virtuale dinamico riferito ad uno spazio virtuale in direzione del quale avviene il movimento.

Così se dico “vado a casa”. La categoria a si costruisce riferendo lo spazio virtuale del movimento espresso dal verbo vado allo spazio virtuale della casa.

Successivamente avvengono le correlazioni: vado (a casa). Il concetto di casa viene riferito alla categoria “a” ed il blocco “a casa” viene riferito all’azione “vado”

 In modo analogo si costruiscono le categorie di “da” ed “in” (quando indica movimento: vado in piazza)

Nel costrutto “Dalla casa alla chiesa” lo spazio virtuale dinamico viene dapprima riferito allo spazio virtuale da cui ci si allontana ed avremo la costruzione della categoria “da”; successivamente lo stesso spazio dinamico viene riferito allo spazio verso cui ci si dirige ed avremo la costruzione della categoria “a”. Alla fine avvengono le correlazioni. (Da la casa) (a la chiesa).

 

L’analisi dei significati (cioè il modo come si formano le categorie) è piuttosto difficile. Io ho analizzato quelle di più facile interpretazione. Ho pensato diversi modi con cui la mente può costruire le categorie “di” e “con”, ma nessuno mi ha convinto appieno.

Quanto scritto in questo saggio trova una corrispondenza nelle varie ricerche di neuroscienze. Si tratta di vedere se è possibile spiegare l’enorme complessità dell’agire mentale partendo dai principi che ho esposto, magari aggiungendo ulteriori operazioni mentali, oppure sono sbagliati i presupposti ed è tutto da rigettare.

Quanto esposto in seguito appartiene al campo delle ipotesi e necessita di ulteriori analisi, magari da parte di un linguista.

 

LE PARTI DEL DISCORSO

Sostantivo/aggettivo

Se correliamo due costrutti dei quali il riferito designa uno “spazio o tempo virtuale” ed il riferimento un “concetto” che ha lo stesso spazio, avremo la correlazione sostantivo/aggettivo.

La correlazione libro ← vicino accomuna un concetto ed il suo spazio o tempo virtuale.

Il “blocco” la foglia verde è costituito da una correlazione nelle quale riferimento (foglia) e riferito (verde) occupano lo stesso spazio virtuale.

La stessa cosa si può dire dei seguenti “blocchi” formati dalle correlazioni sostantivo/aggettivo: bicchiere pieno, edificio enorme, struttura portante, …

Un dinamismo che collega due concetti che occupano lo stesso “spazio virtuale” è indicato con i verbi copulativi ( essere, sembrare, apparire…)

Nei pensieri “la foglia è verde”, “il bicchiere sembra pieno”, i verbi designano un “passaggio” dal “riferimento” al “riferito”.

Se il “passaggio” non avviene tra sostantivo e aggettivo bensì tra due sostantivi, non abbiamo più la struttura sostantivo/essere/aggettivo (“Giovanni è triste”), bensì la struttura sostantivo/essere/preposizione/sostantivo, (“Giovanni è in casa”).

Quando l’aggettivo perde il suo riferimento si nominalizza: “Il vecchio mulino” → “il vecchio” Al contrario quando il nome diviene riferito rispetto ad un altro concetto che occupa lo stesso “spazio o tempo virtuale” si .”aggettivizza”: “Il legno” → “materiale legnoso”. Il suffisso “-oso” indica questo processo di aggettivizzazione.

Il processo di aggettivizzazione può riguardare blocchi. I sintagmi preposizionali “di me”, “di te”, “di lui” diventano gli aggettivi “mio”, “tuo”, “suo” quando sono riferiti ad un sostantivo all’interno dello stesso “spazio virtuale”. Avremo: “La mia mano” “il tuo giardino”,…

Il verbo

Anche i verbi possono essere aggettivizzati. In questa circostanza si usa il participio del verbo. L’azione viene considerata nel suo svolgersi o come già svolta e riferita ad un nome. “calare” → “luna calante”; “aprire” “porta aperta”

Il verbo indica un percetto o concetto dinamico. Se il dinamismo coinvolge due “concetti” abbiamo i verbi transitivi se il dinamismo riguarda un singolo oggetto abbiamo i verbi intransitivi.

Nella frase, il dinamismo viene separato dai concetti ed essi costituiscono il suo riferimento (soggetto) e riferito (oggetto).

Nella frase la dimensione temporale del verbo ha due riferimenti. Un sistema di riferimento temporale generale ed riferimento particolare che è costituito dal momento in cui una persona parla o forma un pensiero.

Si tratta di un processo analogo a quanto detto per i concetti di vicino, lontano, sopra, sotto. Essi nascevano all’interno di un sistema di riferimento generale e oggettuale (il nostro corpo).

I tempi dei verbi sono riferiti al momento in cui una persona parla. Nella frase “ho giocato a scacchi” usiamo un tempo che è “passato” rispetto al momento in cui parliamo.

Se si elimina questo riferimento temporale il verbo si mette all’infinito

A mio avviso, il soggetto correlando con il verbo in funzione di riferimento ingloba il riferimento temporale, cosa che non accade all’oggetto

Questo spiega perché il verbo all’infinito, dopo aver perso questo riferimento temporale, non ha soggetto ma mantiene l’oggetto “Luigi ha mangiato la pasta” → “mangiare la pasta”.

Il riferimento temporale che coinvolge soggetto e verbo è evidenziato anche dal fatto che, nei vari tempi, i verbi sono accompagnati dalle persone: “Tu mangi”, “egli mangia”… La flessione del verbo, inoltre, riguarda tempi e persone: “Io mangio” “ io mangiavo”, “tu mangiavi”…

 

                                                      Tempo virtuale generale

                                                            

Tempo virtuale presente                Tempo dell’azione

                                                          

Soggetto                                                  azione                                 oggetto

 

 

L’azione ha come riferimento la mappa temporale (tempo dell’azione), che a sua volta ha un duplice riferimento (il tempo virtuale presente e il tempo virtuale generale). L’azione inoltre, è riferita al soggetto, al quale trasmette i suoi riferimenti temporali ed è riferimento dell’oggetto.

A conferma di quanto esposto, ricordiamo le difficoltà dei pazienti frontali nell’utilizzare la forma flessa dei verbi e i “funtori” (preposizioni, avverbi di luogo e tempo, articoli,…) nell’eloquio spontaneo, nella lettura…

Abbiamo supposto che per flettere i verbi è necessario riferire il tempo dell’azione al tempo presente; analogamente, per costruire le categorie di “vicino” , “lontano”, “sopra”, “sotto”,… è necessario riferire uno spazio virtuale al nostro corpo; analogamente, per correlare tramite le “preposizioni” è necessario riferire al verbo o al sostantivo un “dinamismo virtuale” E’ probabile che i pazienti frontali hanno difficoltà nell’effettuare riferimenti.

Per questo motivo sono carenti in attività mentali apparentemente così diverse. In effetti il processo è sempre lo stesso. Si tratta di utilizzare le mappe onde riferire uno spazio ( o un tempo o uno spazio/tempo) virtuale ad un altro spazio virtuale.

Invero i riferimenti possono riguardare due concetti.

Ovviamente non è questa sola la funzione della corteccia frontale.

L’articolo determinativo ed indetrminativo

Secondo i grammatici l’articolo determinativo si usa quando supponiamo che l’interlocutore “conosca” il concetto che si accorda con l’articolo[ix]. Questa conoscenza può essere di concetti più o meno ampi. Se dico, per esempio, “il leone è il re della foresta”. L’articolo “il” che precede la parola “leone” sta indicare un concetto molto ampio, diremmo la categoria di leone (se non avessimo usato il termine “categoria” per indicare costrutti parietali),

Se, invece dico: "Al circo ho visto un leone in mezzo a tante leonesse. Quando il domatore ha alzato la frusta il leone” è salito su uno sgabello”. In questa circostanza il concetto di leone si riferisce a quell’animale di cui si è parlato in precedenza. In ambedue le circostanze è avvenuto un processo di riconoscimento.

Il significato di “il”, in ambedue i casi, si può spiegare utilizzando mappe temporali e la relazione “riferimento/riferito”.

Dati un percetto ed un concetto, se il tempo virtuale del primo è il riferimento del tempo virtuale del secondo utilizziamo l’articolo determinativo per indicare questa relazione.

Quando guardiamo un leone, il percetto relativo all’animale viene riferito al suo concetto depositato in memoria. Per i tempi virtuali accade l’inverso: il tempo virtuale del concetto è riferito rispetto al tempo virtuale del percetto

Le mappe temporali sono indispensabili per spiegare, in particolare, la seconda modalità dell’uso di “il”. Dapprima vedo un leone (percetto) con le leonesse. Esso viene depositato in memoria e diviene concetto. Successivamente vedo lo stesso leone salire su uno sgabello. Per riconoscere il leone devo riferire il secondo percetto al primo. “Il” indica il processo di concettualizzazione designando il tempo del concetto a cui è riferito il tempo del percetto.

I pronomi dimostrativi questo e quello si ottengono con procedimenti mentali simili. Essi, a differenza di “il” utilizzano sia mappe temporali sia mappe spaziali. Inoltre sono più complessi in quanto la mente misura la distanza tra il tempo (o lo spazio) virtuale che separa l’oggetto dal momento in cui si parla o dal posto in cui ci si trova. In altre parole, comprendono nel loro significato le categorie di vicino e lontano.

Se dico “Prendi quel libro”, la mente riferisce il percetto libro al concetto di libro depositato in memoria e lo riconosce, effettua inoltre una misura dello spazio che separa il parlante dal percetto e riferisce la posizione dello spazio virtuale (aggettivo) al percetto (nome).

La forma pronominale di questo e quello chiarisce meglio questi processi.

“Aveva telefonato a Francesco, ma quello non aveva risposto”.

Quello indica lo spazio virtuale concettuale di Francesco (depositato in memoria) riferito allo spazio virtuale del secondo percetto. Inoltre vi è riferimento temporale rispetto al momento in cui si parla

 

Tempo virtuale presente       Spazio virtuale (quello)          Spazio virtuale

                                                                                                               

                                                              Francesco                         percetto

 

Per quanto riguarda l’articolo indeterminativo a me sembra che esso si costruisce riferendo lo spazio (o il tempo) virtuale del percetto allo spazio virtuale del concetto. Giacché il concetto racchiude in una sintesi l’insieme dei percetti memorizzati, si ha l’impressione che “un” designi uno dei tanti spazi depositati in memoria.

L’articolo indeterminativo usato come pronome da origine ai numeri. Il numero “uno”, quindi, designerebbe lo spazio o il tempo virtuale di un percetto riferito allo spazio o al tempo virtuale del suo concetto. La somma è data dalla facoltà attenzionale di tenere insieme. Quando sommiamo 1+1, la corteccia prefrontale tiene insieme le due categorie senza effettuare riferimenti. La differenza (-) di numeri è data da un’altra facoltà attenzionale, quella di “scartare” o meglio di “togliere”. Il “+” aritmetico corrisponderebbe alla congiunzione “e”. Le congiunzioni coordinative designano vari modi di “tenere insieme”. Secondo Ceccato[x] la congiunzione “o” si ottiene con l’uso della facoltà attenzionale di tenere insieme e scartare.  I riferimenti attenzionali non riguardano soltanto spazi e tempi ma anche concetti.

Questo è dimostrato dall’uso dei pronomi ed aggettivi quantificatori molto e poco.

“Molto grande” designa una misura di uno spazio. Per il concetto di grande, abbiamo detto che l’attenzione seleziona uno spazio virtuale, lo riferisce ad uno standard di grandezza e lo trova superiore. Se Questo spazio supera di gran lunga lo spazio standard si avrà la correlazione “molto grande”. Molto indica, in questo caso, la misura di quanto uno spazio virtuale supera uno spazio virtuale standard.

Analogamente la correlazione “molto freddo” indica la misura di quanto il freddo supera uno standard di riferimento.

In quest’ultimo caso il processo di misurazione non riguarda uno spazio ma un concetto..

Le proposizioni subordinate.

Una frase significativa è un “blocco” formato da concetti e categorie correlate. A loro volta alcune categorie sono il risultato di una correlazione. Per esempio: amabile → che è da amare, terraferma, bacetto → piccolo bacio, percorrere → correre per, disonesto → non onesto.

Due preposizioni possono correlarsi per subordinazione quando un concetto o categoria dell’una diviene riferimento di un concetto o categoria dell’altra oppure quando l’intera frase diviene riferimento di un elemento dell’altra o dell’altra frase intera.. Il riferimento è subordinato.

Il procedimento è simile a quanto detto per le preposizioni.

Le preposizioni, come abbiamo visto designano una “posizione” nello spazio o nel tempo. Questa posizione può essere statica o dinamica. “Sopra il tavolo” designa una posizione statica. “Dal tavolo” designa una posizione dinamica. Esso è uno spazio dinamico che si muove rispetto al tavolo allontanandosi. Un secondo concetto inserendosi all’interno di queste posizioni e correlandosi determina i costrutti “il libro sopra il tavolo”, “carne da macello”

Consideriamo le due frasi: “Tu mi hai prestato il libro”, “Ho letto il libro”. Se il libro prestato diviene riferimento del libro letto avremo il periodo: “Ho letto il libro che mi hai prestato”

Consideriamo le frasi “Ti ho visto” e “Sei uscito” Introduciamo un tempo virtuale che è riferito rispetto a “sei uscito” ed è riferimento rispetto a “ti ho visto”. Avremo il periodo “Ti ho visto quando (riferito/riferimento) sei uscito”. Se modifichiamo riferimenti e riferiti avremo: “Quando ti ho visto, sei uscito”.

Facciamo un altro esempio. Consideriamo le due frasi: “Ti ho parlato”. “Tu comprendi le mie ragioni”. Esse possono essere così correlate: “Ti ho parlato affinché tu comprendessi le mie ragioni”. La congiunzione “affinché” può essere ricondotta alla locuzione “al fine che”.  “Al fine” fa parte della prima frase e “che” fa parte della seconda. I due termini delle frasi che correlano sono ovviamente al fine (riferito) e che (riferimento). Ma cosa indica che?

 

Se dico “Quello che ti dico è vero. Hai sbagliato”. Quello indica ciò che è vero e che indica l’oggetto del mio dire (cioè: hai sbagliato)

Supponiamo di dire “Ti dico che hai sbagliato” Perché non ritenere che anche in questo caso “che” indica l’oggetto del mio dire (e cioè: hai sbagliato)?

Se così fosse, l’intera frase “hai sbagliato” sarebbe riferimento di “che” e sarebbe subordinata alla frase matrice (ti dico)

Consideriamo le due frasi “Ti dico questo”. “Mi hai stufato”. In questa circostanza, manca l’elemento in comune per effettuare il riferimento. La mente allora introduce uno spazio virtuale (“che”) nella frase dipendente da usare come riferimento per un elemento (questo) della principale: “Ti dico questo, che mi hai stufato”

 

Il linguaggio

Della complessa struttura mentale relativa al linguaggio parleremo in un altro saggio.

Qui è mia intenzione semplicemente inquadrare il problema in linee molto generali.

Innanzi tutto c’è da dire che le parole sono percetti e concetti inseriti in mappe temporali (linguaggio orale) e spaziali (linguaggio scritto). Il percetto è anche detto “lemma”, il concetto “lessema”.

Anche le singole lettere ed i singoli foni sono percetti e concetti e probabilmente anche le sillabe.

Per riconoscere un “lemma” è necessario che tanto l’area percettiva, quanto l’area concettuale (dei lessemi) sia integra.

E’ necessario che siano integre anche le mappe percettive e le mappe concettuali.

Una lesione all’area percettiva (giro di Herschl) fa sentire i suoni distorti; una lesione all’area concettuale (area di Wernicke) impedisce di riconoscerli. Una lesione alla mappa percettiva determina l’estinzione dicotica. Una lesione alle mappe concettuali determina uno spostamento dei fonemi all’interno della parola

Per ripetere una parola ascoltata o per pronunciarla spontaneamente il lessema deve essere riferito all’atto motorio (azione) e la mappa concettuale alla mappa motoria. Inoltre l’azione necessita di un riferimento corporeo (relativo ai segmenti corporei mossi: lingua, corde vocali,…)

Se è disturbata l’area del riferimento corporeo abbiamo l’afasia di conduzione (come aveva affermato Luria)[xi]

Se sono disturbate le aree frontali che effettuano riferimenti avremo l’afasia di Broca

Un disturbo all’area dei lessemi impedisce i vari riferimenti (afasia di Wernicke)

Lesioni parietali impediscono anche i riferimenti tra le mappe.

Per quanto riguarda le frasi, a mio avviso, le correlazioni che la mente fa riguardano (quasi) esclusivamente il linguaggio

Questa convinzione nasce dal comportamento di pazienti cerebrolesi e dalle caratteristiche intrinseche del linguaggio. Per quanto riguarda il primo punto basti ricordare il paziente P.B.S[xii], il quale parlava come un Wernicke e scriveva come un Broca. Questo è inspiegabile presupponendo un processo correlativo che concerne i concetti prima della loro conversione in parole. L’unica spiegazione plausibile è che noi passiamo dal concetto alla parola e dopo effettuiamo la correlazione con due sistemi (uno per la lingua scritta ed un altro per la lingua orale).

Osserviamo i due schemi sotto riportati.

 

Giovanni (concetto)          Corre (azione)                                              Giovanni (concetto)               Corre (azione)

                                                                                                                                                                       

Giovanni (lessema)           Corre (lessema)                                                Giovanni (lessema)            Corre (lessema)

 

Se è valido il primo, noi dapprima effettuiamo la conversione lessema /concetto (si tratta sempre di una relazione riferimento/riferito) e dopo correliamo i concetti. Se è valido il secondo, noi dapprima effettuiamo la correlazione tra i due lessemi e poi effettuiamo la conversione lessema /concetto.

Qualora fosse valida la prima ipotesi non si capisce come una lesione all’area correlativa di concetti, azioni e categorie possa determinare una tale differenza tra la produzione scritta e quella orale.

Se fosse valida la seconda ipotesi ed il linguaggio scritto avesse un proprio sistema correlativo indipendente dal linguaggio orale, la patologia di mister Clemont si spiegherebbe facilmente.

 

Un altro punto a favore dell’ipotesi del sistema correlativo riguardante esclusivamente il linguaggio è dato dalla sua stessa natura

Il sistema linguistico è semplice rispetto alla varietà di categorie, concetti, mappe spaziali, temporali, riferimenti vari.

Esso è costituito da concetti e da mappe temporali (per il linguaggio orale) e mappe spaziali (per il linguaggio scritto). A livello linguistico la categoria “sopra” è un lemma o un lessema; lo stesso si può dire dell’azioneabbracciare” Questo facilita il compito della mente, che può effettuare le correlazioni senza intraprendere i complessi riferimenti legati ai significati. In un secondo momento l’analisi dei significati può essere effettuata per alcune parole onde chiarire eventuali dubbi.

Vi è, inoltre un’altra componente del linguaggio che facilita le correlazioni. Si tratta della facoltà di sintesi. Una sola parola può sintetizzare complesse correlazioni e significati. Si pensi ai termine “frase”, “periodo”, “romanzo”, "tema”.

Per effettuare le correlazioni linguistiche, la mente si serve di specifiche mappe correlative. Si tratta di mappe che tengono insieme uno o più lessemi.

Facciamo un esempio. Se dico “Giovanni mangia la pasta”, la mente costruisce la seguente mappa correlativa: (Giovanni ((mangia (la pasta))). Ciascun lessema è inserito all’interno di una mappa temporale dove i “tempi virtuali” vengono raggruppati secondo specifiche modalità. I riferimenti vengono realizzati dalla corteccia anteriore. (Giovanni ← ((mangia ← (la → pasta))).

Nella corteccia posteriore (giro angolare e temporo/parietale) sono memorizzate le mappe correlative.

La musica

Numerose sono le mappe musicali. Infatti, come è ovvio, anche per la musica si applicano le stesse leggi che vigono per gli altri settori della conoscenza.

Nel linguaggio musicale le singole note, ed i motivi corrispondono alle lettere ed alle parole del linguaggio scritto ed orale. Le sequenze sonore che formano i motivi musicali e le melodie musicali sono strutturate all’interno di mappe temporali per i suoni, spaziale per la musica scritta . Consideriamo un motivo musicale costituito dalla sequenza ordinata nel tempo di otto note. Esso, a livello cerebrale viene memorizzato in modo analogo a quanto succede con una parola di otto lettere.

Ciascuna lettera e ciascuna nota costituiscono un “concetto”. Infatti, una nota è riconosciuta da un musicista , se viene suonata con il piano, con il flauto, con il violino,...; fatto analogo avviene con i foni del linguaggio.

 



[i] John H. Martin (1994) Codificazione ed elaborazione delle informazioni sensoriali in Principi di neuroscienze di E. Kandel, J. H. Schwartz, T. M. Jessell seconda edizione C.E. Ambrosiana Milano

[ii] James P. Kelly: (1994) La funzione uditiva in Principi di neuroscienze di E. Kandel, J. H. Schwartz, T. M. Jessell seconda edizione C.E. Ambrosiana Milano

[iii] Jonh H. Martin, Thomas M. Jessel (1994): Codificazione ed elaborazione delle modalità nel sistema somatosensitivo in Principi di neuroscienze di E. Kandel, J. H. Schwartz, T. M. Jessell seconda edizione C.E. Ambrosiana Milano

[iv] Eric R Kandel  Thomas M. Jessel (1994): Il tatto in Principi di neuroscienze di E. Kandel, J. H. Schwartz, T. M. Jessell  seconda edizione C.E. Ambrosiana Milano

[v] Ennio De Renzi(1996)  Le Agnosie  in Manuale di neuropsicologia a cura di Gianfranco Denes e Luigi Pizzamiglio seconda edizione  C. E. Zanichelli Bologna

[vi] Gianfranco Denes (1996) Disturbi della localizzazione e consapevolezza corporea di in Manuale di neuropsicologia a cura di Gianfranco Denes e Luigi Pizzamiglio seconda edizione  C. E. Zanichelli Bologna

[vii] Gianfranco Denes (1996) Disturbi della localizzazione e consapevolezza corporea in Manuale di neuropsicologia a cura di Gianfranco Denes e Luigi Pizzamiglio seconda edizione  C.E.. Zanichelli Bologna

[viii] G. Vaccarino (1997) Prolegomeni I  Società stampa sportiva Roma

[ix] Gianpaolo Salvi Laura Vanelli (2004) Nuova grammatica italiana casa editrice: Il Mulino Bologna

[x] Silvio Ceccato (1966) Un tecnico tra i filosofi vol. II, Marsilio Editori Padova

[xi] Luria A (1973). “Tow basic kinds of aphasic disorders”.  Linguistic 115 pp 57-66

[xii] Gabriele Miceli (1996) “Deficit grammaticali nell’afasia” in Manuale di neuropsicologia a cura di Gianfranco Denes e Luigi Pizzamiglio seconda edizione  C.E.. Zanichelli Bologna