Body
of evidence. Dialettiche
della corporeit[1]
Annali della Facolt di Scienze della Formazione. Universit di Cagliari. Nuova Serie, 2005; XXVIII, parte II: 255-286
sommario
Lidea
di corpo come lo intendiamo attualmente, insieme massa che occupa uno spazio
e struttura animata di un vivente, si afferma nella Grecia post-omerica per il
convergere di tre fattori: la rappresentazione della figura umana nellarte
plastica, laffermarsi del metodo di descrizione naturalistica e dellarte
medica, il costituirsi di un repertorio etnografico incentrato su culture
estranee a quella ellenica.
La
consapevolezza, che Platone dimostra, di una precisa qualit segnica del corpo discende da un processo che in Erodoto si
dispiega compiutamente: il riconoscimento della personale identit a partire dal confronto con laltrui alterit.
Il
carattere significante del corpo, in quanto indice dellidentit del soggetto,
si afferma di contro ad una iconologia che lo iscrive lungo assi dimensionali
in contrasto secondo coppie polari: natura/cultura, localismo/universalismo,
maschile/femminile.
Se
la natura si pone come confine esterno della cultura, terreno insieme da
conquistare ed annettere, ma anche fonte dorigine e di legittimazione, due
altre dimensioni mettono sotto minaccia lidentit incentrata sullappartenenza
alla culturale locale: il fascino generato da culture estranee alla propria e
la superfetazione delle pratiche culturali medesime, che finiscono per imporsi,
attraverso modalit quali la cosmesi ed il lusso, come una seconda natura, contrapposta alla prima ed anche alla
semplicit della cultura originaria.
Esotismo
e cosmesi si pongono quindi come contraltare della purezza dello stato
naturale, per un verso, e della semplicit della cultura locale di
appartenenza, per laltro, offrendo occasione alle dialettiche incentrate sul
corpo di illustrare il primato della civilt greca per contrasto con la
barbarie delle civilt altrui.
In
Erodoto il termine soma (sma) ricorre diverse volte, non di rado utilizzato ad
indicare il corpo senza vita di un morto. In tal senso impiegato, ad esempio,
in II.121, riferito al cadavere di uno dei due ladri nella fiaba di Rampsinito;
oppure in IV.103, laddove illustrato un rituale sacrificale in uso presso il
popolo dei Tauri, usi a gettare da una rupe in mare il corpo decapitato della
vittima umana dedicata ad una loro divinit.
In
altri passi, invece, il vocabolo sma indica
propriamente il corpo come lo intendiamo noi: un insieme compatto di membra e
organi, che assegna una identit materiale ad un soggetto partecipe di azioni e
discorsi. In particolare, e suggestivamente, in un passo volto a spiegare
lorigine della follia di Cambise, passo nel quale il corpo contrapposto alla
mente:
Ka gr tina
k genetw noson meglhn lgetai xein Kambshw, tn rn nomzous tinew:
o nn toi eikw odn n to smatow noson meglhn nosontow mhd tw frnaw
gianein.
E, infatti, si dice che fin dalla nascita Cambise
avesse una malattia grave, quella che alcuni chiamano il male sacro
[epilessia]. Non vera nulla di strano che, essendo il corpo gravemente malato,
nemmeno la mente fosse del tutto sana[2].
In
Omero, come gi evidente al commentatore di epoca ellenistica Aristarco, la
parola sma mai riferita ad un vivente: sma significa cadavere[3].
Per indicare il corpo come lo intendiamo noi, sulla scorta delluso latino del
vocabolo corpus, insieme massa che occupa uno spazio e struttura animata di
un vivente, gli autori classificati come Omero utilizzano varie espressioni,
che fanno riferimento ora alle membra, al plurale, ora a singole parti del
corpo, come pelle o rivestimento (xrw)[4].
Omero, solitamente, parla di agili gambe, di mobili ginocchia, di forti
braccia, poich queste membra rappresentano per lui una cosa viva, ci che
colpisce locchio[5]. Il corpo
dunque primariamente ci che, di un dato soggetto, pu essere percepito:
lazione, le membra in movimento, hanno precedenza sulla globalit della
persona. Nella concezione rappresentata nellIliade e nellOdissea, ci che conferisce identit al soggetto sono le sue azioni e, in
misura minore, i suoi discorsi.
Anche
le rappresentazioni che possediamo dellarte plastica in epoca contemporanea
agli omeridi mostrano il corpo umano come frammentato, un corpo le cui singole
parti non giungono alla sintesi in una unit organica: [] le figure della
fase geometrica [] sono veramente membra con forti muscoli, distinte le une
dalle altre da giunture fortemente accentuate[6].
Allavvento
del V secolo, per, il corpo/sma ha acquistato una sua pi
precisa definizione: lEdipo di Sofocle pu usare il termine sma ad indicare la propria persona (Edipo Tiranno, 643). Il corpo, dunque, quando Erodoto costruisce la
sua grandiosa Antropologia dellAlterit, ormai componente essenziale del soggetto, e contribuisce a
definirne lidentit. A partire dal V secolo avanti levo moderno, larte
classica della Grecia raffigurer il corpo come un complesso unitario, in cui
le diverse parti sono in relazione necessaria una con le altre, in un rapporto
geometrico e costante che la misura della sezione aurea insieme rappresenta e
riassume.
La
materiale fisicit del corpo si iscrive in una molteplicit di assi che
articolano quattro dimensioni strettamente interconnesse: statica, dinamica,
equilibrio e consistenza (tabella 1).
Non
possibile, in realt, definire una netta separazione tra statica e dinamica,
in quanto ognuna compartecipa delle dimensioni dellaltra. Equilibrio e
consistenza, poi, derivano da una dialettica che implica la contemporanea
presenza di elementi della statica ed altri propri della dinamica: la
stabilit, infatti, consegue dal bilanciamento di spinte dinamiche ed altre
statiche; la rigidit e la flessibilit, invece, conseguono luna dal prevalere
della statica sulla dinamica, laltra dallesatto opposto.
Ad
ogni asse di significazione della corporeit corrispondono ulteriori
dimensioni, che ne circoscrivono da un lato la descrivibilit, dallaltra
contribuiscono al diventare consapevoli della propria persona. Oggi lidentit del soggetto concepita come lintrecciarsi dinamico
di aspetti mentali, che traspaiono nelle condotte, ed altri fisici, riferibili
a tratti corporei specifici e distintivi: altezza; peso; colore della pelle,
dei capelli, degli occhi; conformazione del viso; struttura del tronco;
disposizione e simmetria degli arti.
Detto
altrimenti, lidentit del soggetto compartecipa di mente e corpo, e si
organizza a partire da quanto lIo coglie nelle determinazioni che gli altri
gli rimandano del proprio S: Noi siamo [] abbozzi di quella individualit e
unicit di noi stessi la quale circonda, quasi disegnata con linee ideali, la
nostra realt percepibile. [] Lo sguardo dellaltro integra per questo
materiale frammentario in quel che noi non siamo mai puramente ed interamente[7].
Daltra parte, gi Platone, giocando con
letimologia, sapeva che il corpo significa: sma/sma, il corpo indica, segnale, giacch rende manifesta
(shmanv) una intenzione, una volont[8].
La consapevolezza, che Platone dimostra, di una precisa qualit segnica del corpo discende da un processo che in Erodoto si
dispiega compiutamente: il riconoscimento della personale identit a partire dal confronto con laltrui alterit.
Il
maturare di una coscienza del corpo come indice dellidentit del soggetto si
compie, in Grecia, secondo percorsi molteplici ma convergenti verso una duplice
articolazione delluniversale e del particolare, declinati secondo le opposte
qualit dellastratto e del concreto (tabella 2).
La
specifica, materiale concretezza corporale dellidentit del soggetto
espressa dalla statuaria dedicata ai vincitori delle gare atletiche in uso
presso i principali santuari della grecit, con preminenza, a partire almeno
dal VII secolo a.C., di quello di Olimpia. Queste statue sono veri e propri
ritratti dellatleta, che nel mentre ne idealizzano le virt atletiche, ed
insieme lappartenenza etnica, nel contempo ne indicano una peculiare
specificit, che rende il soggetto ritratto unico e distinguibile dai
concorrenti ed avversari. Questa peculiare specificit dellatleta
rappresentato iscritta nei tratti corporei, che rifulgono come emblema della
virt agonistica del vincitore.
La
statuaria atletica si precisa, ancora in Pausania (II d.C.), come riflesso di
un culto localistico, quello offerto dai concittadini allatleta ritratto. Tale
culto si accompagnava a specifici vantaggi garantiti in vita al vincitore di
una delle competizioni panelleniche, come attestato da uniscrizione:
Tutti coloro che hanno vinto in una competizione
atletica dei giochi Olimpici, Pitici, Istmici o Nemei, avranno il diritto di
mangiare gratuitamente nelle mense della citt, e avranno garantiti altri onori
in aggiunta ai pasti gratuiti[9].
Analogo
carattere localistico e concreto avr, in epoca di poco posteriore, la
statuaria dedicata ai soldati morti in battaglia, fossero essi stati abili condottieri
o semplici esecutori. Fidia, ad esempio, rappresent Milziade insieme ad altri
eroi militari, ed agli eroi eponimi delle trib ateniesi, in un gruppo marmoreo
eretto a Delfi, celebrativo della vittoria a Maratona[10].
Anche in questo caso, lopera riassume le virt delleroe, ma nel contempo ne
afferma, sul piano corporale, lidentit personale e lappartenenza etnica. Non
si hanno eroi nazionali della grecit, se non nel mito: sempre il caduto in
guerra leroe di una citt, quando non di uno specifico demos. Nel tempo si affermer una ritrattistica volta a
illustrare le virt degli uomini eminenti, talvolta quando costoro sono ancora
in vita, come nei casi documentati di Alcibiade[11]
e Aristotele[12], pi spesso
dopo la morte.
Di
contro a tale dimensione del particolare si situa laltra dimensione
delluniversale, quella che si manifesta nellastrattezza delle forme e dei
tratti della statuaria dedicata alle divinit ed agli eroi del mito. Ogni citt
vanta un suo Zeus ed una sua Atena, un Eracle o altro eroe panellenico, pure
larte plastica religiosa o mitica dimostra una certa qual mancanza di
concretezza, che riflette linconsistenza, inevitabile, del dio o delleroe
rappresentato. Laddove al corpo non corrisponde una precisa soggettivit, il
ritratto si stempera nellindeterminato, capace di incarnare le qualit,
altrettanto indeterminate, che i singoli proiettano sul simulacro del dio o
delleroe.
In
Atene la concreta specificit identitaria emersa nellarte plastica si coniug
con la progressiva accentuazione della soggettivit dei protagonisti del vivere
civile. Al principio del V secolo, listituzione della pratica dellostracismo
indica, tra le altre cose, che una societ alfabetizzata, capace quindi di
specificare per iscritto il nome del potenziale tiranno da esiliare, possiede
precise nozioni sullidentit del soggetto temuto. Il poco che ci rimane di
tale pratica suggerisce che, nel momento in cui una prima votazione avesse
stabilito che la citt correva il pericolo di una nuova tirannide, dopo quella
dei Pisistratidi, si procedesse alla identificazione dei potenziali colpevoli,
il cui nome e patronimico era affidato a cocci da raccogliere, poi, in appositi
contenitori[13]. Finire
nellelenco dei votati costituiva insieme minaccia concreta alla personale
carriera politica, ma anche motivo di onore, giacch la segnalazione indicava
il raggiungimento di una visibilit sociale tale da garantire limmediata
identificazione. Questultimo significato della nomina nellostracismo ben
illustrato dallepisodio di Iperbolo, agitatore radicale, proveniente dalle
file popolari della cittadinanza ateniese, che Alcibiade e Nicia, per una volta
alleati, complottarono per far finire ostracizzato[14].
I contemporanei che raccontano lepisodio, tutti di parte oligarchica,
sottolineano il disdoro che ne consegu per lantica istituzione
anti-tirannica, al punto che, a partire da quellepisodio, la pratica venne in
disuso.
Laneddotica
pre-erodotea
Lattribuzione
di una soggettivit forte, caratterizzata da intenzioni, motivazioni e volont,
ad una precisa identit, insieme fisica e sociale, diede vita al sorgere di una
aneddotica incentrata sulla persona, che nel tempo abbandon i territori fumosi
della leggenda per avvicinarsi a quelli, meno incerti, della biografia.
Un
primo corpus parabiografico comprende quellinsieme eterogeneo che va sotto il
nome collettivo di Sette Saggi. Si
tratta di aneddoti, poco pi di motivi folklorici, che migrano spesso da un
personaggio allaltro, ma che contribuiscono a definire un carattere come
specifico, dotato dunque di qualit proprie, che lo distinguono dalla massa
circostante[15].
La
definizione del personaggio a partire dalla costruzione di un carattere, la ricorrenza, cio, di condotte, gesti abituali ed
espressioni verbali tipiche, si trova gi in Omero, e nellepica in generale.
Si tratta, tuttavia, di un mero artificio narrativo, volto a rendere
riconoscibile il personaggio come tale, ed a permettere la creazione di senso
per contrasto di caratteri contrapposti. Non vi , dunque, alcuna intenzione
biografica, al di l di quella necessaria al buon funzionamento drammatico
della struttura narrativa, e come supporto mnesico per il cantore.
I
racconti sui Sette Saggi, invece,
come pi tardi quelli dedicati ai filosofi, ai naturalisti ed ai retori, si
alimentano al desiderio di conservare delle figure intellettuali che emergono
come preminenti tra i contemporanei un ricordo che ne restituisca la umana
realt, ed insieme i tratti pi salienti della loro identit personale.
Accanto
allaneddotica sapienziale si situa un repertorio pi ampio, incentrato sulle
figure politiche di maggior rilievo e alimentato dalla chiacchiera e dal
pettegolezzo, ora in direzione dellelogio ora della diffamazione. Al primo
filone appartengono episodi, perlopi inventati, che sottolineano la virt o
lincorruttibilit del protagonista.
Plutarco,
nella Vita di Aristide, riporta un
episodio che dimostra quanto il pubblico del teatro ateniese fosse portato a
riconoscere nei personaggi eroici portati sulla scena caratteristiche e tratti
propri dei contemporanei pi illustri. Racconta Plutarco che un giorno, durante
la rappresentazione di unopera di Eschilo, mentre a teatro erano recitati in
scena alcuni versi giambici [] su Amfiarao:
Egli non vuole sembrare giusto, vuole esserlo.
Nel suo cuore cresce nel profondo la semenza
che fa germinare i disegni dei generosi
tutti
gli occhi si voltarono verso Aristide, come alluomo pi meritevole di simile
elogio[16].
Laneddoto
fortemente sospetto. I versi sono tratti dai Sette contro Tebe, la cui prima rappresentazione , con certezza, del
467 a.C., unepoca prossima alla fine della vita di Aristide, e forse
addirittura successiva alla sua morte. Ma se lintero episodio un falso, di
certo ben inventato. Se possibile concedere a Plutarco la buona fede
nellaccettazione dellaneddoto, si pu altres accogliere, con beneficio
dinventario, lidea che anche gli autori, nel mentre andavano creando i
personaggi dei propri drammi, tendessero, coscientemente o inconsapevolmente, a
trasferire nei caratteri pi riusciti qualcosa che aveva origine dalle cronache
a loro pi prossime.
Al
secondo filone dellaneddotica politica appartengono le dicerie sorte a
giustificare le accuse di empiet o di tradimento mosse a pi di uno dei
protagonisti della storia nazionale ellenica. Temistocle prima, Pausania poi,
ed infine Alcibiade, tutti finiranno accusati di medismo, la simpatia per le usanze lussuriose dei Persiani, simbolo insieme di corruttibilit e di
scarso rispetto per i modi parchi propri delle antiche virt dei Greci:
Alcibiade imitava la simpatia di Pausania per i persiani: frequentando
Farnabazo indossava la veste persica e impar la lingua persiana, come anche
Temistocle[17].
Erodoto
attinger a questa ricca messe di racconti, apologhi, storielle edificanti o
calunniose, intrecciandole in una trama volta ad illustrare, in virt di
contrasti e somiglianze, il costituirsi dellidentit nazionale ellenica, che
giunge a riconoscersi tale nello specchio deformante offerto dalle culture
straniere, che la Grecia dellepoca classica, nel processo della sua
espansione, incontra sul proprio cammino.
Lantica
Grecia ha vissuto la propria posizione geografica come indice di una centralit
ideologica prima che politica. Lomphalos di Delfi era concepito come lombelico del mondo, e cio il suo
centro, perno attorno al quale far ruotare luniverso intero. Il fatto stesso
che la scarsa fluenza nella lingua greca, propria degli stranieri e vissuta
come balbettio della propria parlata, abbia finito per indicare il concetto
stesso di estraneo alla cultura greca, barbaros, suggerisce quanto lappartenenza etnica abbia
significato per i Greci in termini di primato ideologico, e dunque di superiorit,
di contro alla stranezza, irrazionalit, crudelt, in una parola: barbarie,
delle altrui civilizzazioni.
Il
centro civile e culturale della Grecia classica fu la polis, la citt, e di questa il nucleo fu loikos: la casa domestica, che si interconnetteva alle altre
attraverso un intreccio di localismo sincronico, il demos[18], e universalismo diacronico, la fratria, perno della trib. Il demos
si incentrava su una prossimit spaziale, stabilita dalla comune posizione
abitativa, laddove la fratria
faceva perno su una sequenza temporale, quella basata sulla discendenza di
sangue, sulla consanguineit.
Travolti
dal crollo della civilt Micenea, e delle memorie internazionali ad essa
associate, compresi i legami con lEgitto e la frequentazione delle pi lontane
plaghe del mediterraneo lungo rotte commerciali e di esplorazione, i Greci del
dopo Omero situano la propria distanza dallAltro a partire dal centro
cittadino. I limiti del loro mondo sono quelli segnati dalle apoikiai, le dimore lontane: le colonie. Al di l si situa
tutto ci che fantastico, incredibile, favoloso: Pare che le regioni
estreme, che circondano il resto del mondo, e lo racchiudono dentro, abbiano in
s, e solo esse, quelle cose che a noi sembrano le pi belle e le pi rare[19].
Erodoto,
conferenziere geniale prima ancora che raffinato etnografo, riesce ad
illustrare il primato della civilt ellenica per negazione dellaltrui alterit, che deve quindi essere evidenziata su un polo
positivo prima di poter essere rovesciata nel suo contrario, la superiore identit culturale degli elleni.
In
tutti i passaggi nei quali la centralit della Grecia pu emergere come
contraltare dellaltrui eccentricit, Erodoto sempre attribuisce ad una qualche
civilt non greca un contenuto che , profondamente, proprio di questultima:
Gli Egiziani chiamano Barbari tutti quelli che non parlano la loro stessa
lingua[20].
Ed
ancora, e con maggiore evidenza, in un passaggio che tratta delle credenze
attribuite ai Persiani: Tra tutti, stimano in primo luogo se stessi e quelli
che abitano le regioni loro pi vicine; in secondo luogo quelli che sono a una
distanza media; poi, gradualmente, misurano la stima in proporzione della
distanza. Allultimo grado della loro considerazione tengono quelli che abitano
i luoghi pi lontani, convinti di rappresentare essi il massimo della
perfezione sotto tutti i rapporti fra gli uomini; [sono anche convinti] che gli
altri onorano la virt secondo la proporzione citata e che i pi lontani sono
certo i peggiori di tutti[21].
In
questa dinamica basata sul contrasto tra prossimit e lontananza, le
dialettiche incentrate sul corpo acquistano un particolare rilievo, nel momento
in cui il corpo viene riconosciuto elemento essenziale della personale
identit. Il corpo manifesta lidentit del soggetto, e in quanto tale, come
voleva Platone, si fa segno di s
stesso.
Erodoto
si rivolge a un pubblico che condivide gi un comune sfondo ideologico, nel
quale immagini, racconti e la personale esperienza definiscono i confini delle
categorie culturali che un discorso pu rendere attuali, per riaffermarne il
valore, negarlo o ancora rovesciarlo nel suo reciproco. Il discorso sul corpo che affiora nei
logoi erodotei si confronta,
dunque, con una intera mitologia che al corpo attribuisce significati
molteplici, attraversati da simboli e da contraddizioni[22].
Liconologia
preservata nella vasta produzione vasaria dellepoca consente una prima
approssimazione a questo repertorio mitico. Ad un primo livello si situa il contrasto
tra natura e cultura, articolato dal duplice confronto tra leroe
civilizzatore e la mostruosit del suo antagonista, da un lato, e tra la
ferinit incontaminata dellanimale e lacculturata raffinatezza dellumano,
dallaltro.
In
molte rappresentazioni dello scontro tra Teseo e il Minotauro, leroe ateniese
rappresentato nudo. La pelle liscia, di contro alla rugosit della pelliccia
del mostro-animale, finisce per caratterizzare leroe civilizzatore a fronte
della selvatichezza del suo avversario[23].
Medesimo contrasto raffigurato in una coppa datata al 490 a.C., in cui Teseo,
nudo e con la pelle liscia, opposto al brigante Sinis, il cui corpo appare
invece coperto di peli[24].
In altre rappresentazioni della saga di Teseo il contrasto tra natura e cultura
espresso dalla nudit dellantagonista, contrapposta alla non-nudit
delleroe, che indossa abiti di foggia elaborata[25],
o invece la pelliccia di un animale[26].
La
pelliccia dellanimale pu valere da indicatore dellavvento della civilt nel momento
in cui indossata come manto, seconda pelle che va a coprire e valorizzare la
pelle liscia e nuda, non-pelosa, delleroe culturale. In molte rappresentazioni
grafiche, ad esempio, Eracle appare rivestito da una pelle di leone, il cui
cranio gli fa da elmo, e con in mano una clava, simbolo della potenza
delleroe, e forse vestigia di altro, e non pi compreso attributo regale[27].
La pelle di leone tratto caratteristico di Eracle gi in Esiodo[28],
e la conquista di questo suo attributo finisce nel novero delle proverbiali
fatiche delleroe gi in Pindaro[29],
e poi nella trattatistica mitografica di epoca ellenistica[30].
Lanimale,
selvaggio e coperto di peli, viene infine acquisito alla dimensione civile
quando gli imposto il segno della marchiatura. La cerimonia della
marchiatura, nel mentre iscrive il corpo dellanimale nel dominio della
domesticit, anche lo sottrae alla dimensione selvaggia della natura, imponendo
laffermazione dellopposto polo della cultura attraverso un atto che attrae la
corporalit nello spazio della significazione.
Il
teriomorfismo dellantagonista (Minotauro, Sfinge, Drago) ha il compito di far
meglio risaltare lidentit pienamente umana, e virile, delleroe
civilizzatore. Leroe culturale possiede unaltra qualit: il localismo, che si
esprime sia come insediamento spaziale, cio geografico, delleroe in uno
specifico contesto, sia sul piano del culto, che sempre culto di un demos, o di una citt, e dunque di una fratria e di unetnia.
La
dimensione naturale, per converso, si esprime sul piano delluniversalit, che
si traduce nella pluralit delle determinazioni segniche, grafiche e verbali,
che la contraddistinguono. Sul piano grafico la natura indicata da una
molteplicit di indicatori segnici, che comprendono, oltre agli animali, anche
piante e rocce, sintomo di non civilt, in quanto contrapposte allarredo
urbano, solitamente colonne, o frontoni di templi, o parti di un edificio. Sul
piano verbale, gi nel vocabolario omerico lanimale indicato al plurale: t
prbata (bestiame), t loga (bestie, in quanto prive di ragione, logos), t za
(animali).
Anche
in latino animalia pi antico di
animal. Analogamente sono citate
al plurale le piante, quasi a significare la loro oggettiva indeterminatezza.
Se la natura si pone come confine esterno della cultura, terreno insieme da
conquistare ed annettere, ma anche fonte dorigine e di legittimazione, due
altre dimensioni pongono sotto minaccia lidentit incentrata sullappartenenza
alla culturale locale: il fascino generato da culture estranee alla propria, ma
con le quali si pu giungere in contatto per prossimit, e la superfetazione
delle pratiche culturali medesime. Queste ultime finiscono per imporsi,
attraverso modalit quali la cosmesi ed il lusso, come una seconda natura, contrapposta alla prima ed anche alla
semplicit della cultura originaria (tabella 3).
La natura riassume, sul piano universale, la
comune appartenenza del genere umano ad una dimensione caratterizzata dalla
vitalit, dalla libert, ma anche dalla finitudine. Alcuni miti di metamorfosi,
in effetti, sembrano alludere ad una certa qual contiguit dellumano e
dellanimale. In particolare il mito di Atteone, con la morte del protagonista,
provetto cacciatore, ad opera dei suoi cani, che non lo riconoscono giacch
mutato in cervo per ordine di una dea, suggerisce la percezione di una comune
sorte dellumano, che uccide, e dellanimale, che ucciso[31].
Lidentit
culturale, in ultima analisi, si sovrappone, ma non cancella, quella naturale.
Al contrario, la cosmesi, ed il suo analogo sul piano dellabbigliamento, il
lusso, finiscono per mettere in crisi la specificit dellidentit culturale,
ancorata ad una soggettivit unica e non falsificabile. In effetti, se ogni
viso pu essere reso altro da s, ringiovanito, imbellettato e trasformato, ed
ogni corpo pu essere mascherato con vesti pregiate, gemme preziose ed
ornamenti, generando ununiversalit indistinta di forme e di costumi,
loriginaria appartenenza culturale sconvolta, e la primitiva identit si
trova ad essere negata.
Non
meno pericoloso il fascino dellesotismo, che si manifesta come attrazione
per una cultura altra insediata in
una localit insieme prossima e lontana dalla propria. Come lidentit
culturale inseparabile dal localismo delle sue esibizioni, cos lesotismo si
caratterizza per linsediamento in uno spazio specifico, ed inevitabilmente che
vi soccombe si espone allaccusa di tradimento e diserzione. Non si scambia,
infatti, impunemente la propria patria per laltrui, e non senza conseguenze si
perde la propria identit per assumerne unaltra.
Fedele
a un modulo sperimentato, Erodoto illustra i pericoli dellesotismo per
inversione del punto di vista, affidandone il racconto ad una vicenda che
mostra, in qualit di cultura estranea da assimilare, non altri che la cultura
Greca.
Scila,
figlio di un re degli Sciti e di madre greca, dimostra una crescente curiosit
per la cultura materna, al punto da interessarsi ai riti ed ai culti di una
citt greca prossima ai confini del suo regno. Il fascino esercitato da questa
civilt, estranea agli usi e costumi della sua gente, tale che sempre pi
spesso il giovane trascorre il proprio tempo ospite dei suoi concittadini
dadozione, indossando vesti greche e praticando le arti, le usanze e la
religione dei vicini. Fattosi iniziare ai misteri di Dioniso, prende
labitudine di partecipare ai tiasi
della citt dei Boristeni, colonia di Mileto. Denunciato da un greco della citt
alle autorit degli Sciti, Scila fugge in Tracia. Catturato, viene ceduto agli
Sciti in cambio di un Trace, in precedenza preso prigioniero dagli Sciti.
Trasferito in patria, il giovane principe sottoposto a processo, condannato
per tradimento, e infine giustiziato[32].
Lesotismo uccide, sembra dirci Erodoto, che per, come suo solito, non
commenta lepisodio, affidandosi alla potenza evocativa del racconto.
Erodoto
non reperta occasioni nelle quali il lusso o la cosmesi svolgono un ruolo di
rilievo nel porre sotto minaccia lidentit culturale greca. Tuttavia, pi
volte sottolinea come il lusso, o particolari pratiche di cosmesi,
costituiscano tratti peculiari di un popolo, di cui poi disvelata una qualche
insolita eccentricit.
La
ricchezza ornamentale di una statua a forma di vacca, ad esempio, avvolta in un
manto di porpora e ricoperta doro, associata al racconto del turpe incesto
commesso da un padre, il re egiziano Micerino, ai danni della figlia, che si
uccider poi a causa della vergogna per laffronto subito[33].
Lintera sezione delle Historiai
dedicata a Creso, uomo di ricchezza proverbiale, illustra la vanit del lusso a
fronte della essenziale semplicit della vita, concetto riassunto esemplarmente
nel motto che Erodoto attribuisce a Solone: Di ogni cosa bisogna considerare
la conclusione, come andr a finire; poich a molti gi il dio lasci
intravedere la felicit e poi li precipit nella pi profonda rovina[34].
Il
nostro testimone pi diretto del carattere iperculturale del lusso e della
cosmesi Ovidio, testimone tardo ma attendibile, che equipara la cosmesi
allopera del coltivatore, che con fatica rende fertile larida terra: Giovani
donne, a quali cure il volto affidare apprendete, di modo che protetta sia la
vostra bellezza. Della coltivazione ripaga il dono la sterile terra dando
grano; sparirono i rovi dolorosi. Se coltivati, i frutti perdono gli aspri
succhi, e trafitto dallinnesto, un albero nuove risorse accoglie[35].
Dei
Medicamina faciei femineae ci
restano una manciata di versi, non pi di 100: pure loperetta efficace nel
dimostrare come il lusso e la cosmesi costituiscano dimensioni in opposizione
sia alla semplicit della cultura di appartenenza, che alla purezza dello stato
di natura. Nei pochi versi a noi giunti, Ovidio contrappone la severit delle
antiche matrone romane, dedite a poche ma produttive attivit casalinghe, alla
sventatezza delle loro discendenti, che capricciosamente desiderano vesti
pregiate, acconciature insolite, gemme preziose, profumi dOriente. Ma,
conclude il poeta, ci corrisponde alle esigenze del tempo: Culta placent, ci che curato, piace.
Ma
gi prima di Ovidio, un poeta scandaloso come Properzio opponeva la nuda semplicit della grazia naturale agli
artifici della cosmesi: Quid iuvat ornato procedere, vita, capillo et tenuis
Coa veste movere sinus, aut quid Orontea crinis perfundere murra, teque
peregrinis vendere muneribus, naturaeque decus mercato perdere cultu, nec
sinere in propriis membra nitere bonis? [36].
Il dio dellAmore, che nudo commenta il poeta non ama la contraffazione
delle forme[37].
Il
mos maiorum e la sua austerit
costituiranno punto di riferimento obbligato del programma augusteo di
restaurazione: a farne le spese sar, tra gli altri, lappena ricordato Ovidio,
esiliato nel Ponto per aver avuto parte, forse minima, in uno scandalo di corte
dal sapore boccaccesco. Semplicit, probit di modi e di usanze, ed il rifiuto
del lusso e del mercimonio caratterizzano le virt degli antichi, secondo il
programma augusteo. Ma gi i Persiani, a detta di Erodoto, molto si dolsero
nellapprendere che i Greci, loro avversari, si battevano per lonore e non gi
per denaro.
Interessato
a conoscere le attivit dei Greci, contro i quali si proponeva di muovere
guerra, Serse viene a sapere che in quel periodo essi stanno celebrando i
Giochi Olimpici. Incuriosito da quellusanza, Serse domanda per quale premio
essi concorrano tra loro, e gli viene risposto che al vincitore andava una
semplice corona di olivo: Fu allora che Tritantecme, figlio di Artabano, per
aver espresso un giudizio molto nobile, si attir da parte del re la taccia di
vigliacco. Al sentire, infatti, che il premio proposto era una corona, non gi
del denaro, non riusc a starsene in silenzio e davanti a tutti esclam: Ohim!
o Mardonio, contro quali uomini ci hai condotto a far guerra! Uomini che
contendono non per denaro, ma per valore![38].
Come
sua abitudine, Erodoto mette in bocca ad uno dei personaggi il suo giudizio: la
superiore nobilt dei Greci consiste nella semplicit dei loro costumi. Il
lusso e gli artifizi non li possono corrompere, giacch la virt del Greco
coincide con il suo onore. Non si deve per credere che Erodoto coltivi
illusioni sullincorruttibilit dei Greci. Lepisodio nel quale la figlia Gorgo
salva il padre, il re Cleomene, dalle insidie di Aristagora illustrativo di
una minaccia sempre attuale[39].
Anche la disinvoltura con la quale Temistocle maneggia denaro proprio o altrui
allude ad una consapevolezza della sensibilit dei Greci al rischio di corruzione[40].
I
corpi hanno un sesso, come la rappresentazione plastica non manca di
sottolineare. La coppia polare maschile/femminile trova corrispettivo nella
raffigurazione di corpi nei quali il genere di appartenenza sottolineato dai
caratteri differenziali pi evidenti. I Greci non sembra abbiano posto
particolare attenzione alla distinzione, tutta moderna, tra le categorie del sesso, inteso come manifestazione apparente di qualit
biologicamente date, e del genere,
quale elaborazione socialmente istituita di differenze incentrate sul ruolo e
declinate secondo i margini di potere posseduti[41].
Erano tuttavia consapevoli del fatto che uomo adulto e donna adulta
costituiscono punti di arrivo di un percorso segnato da differenze riconducibili
allet, alle esperienze ed a specifiche convenzioni sociali[42].
La
contrapposizione di genere si esprime, solitamente, in una certa qual
preferenza per la nudit delle forme maschili, di contro alla rappresentazione
quasi costante di corpi femminili vestiti. In qualche modo la virilit si
affianca alla naturalit delle forme, laddove la femminilit si accompagna alla
messa sotto tutela del corpo muliebre da parte di marche culturali ben precise.
In
tuttaltro contesto, in effetti, luscita dallo stato di natura pre-culturale
si attua per copertura della nudit. Le due creature umane primordiali, Adam ed
Eva, si lasciano convincere dal serpente, il pi astuto di tutti gli animali
selvatici, a mangiare il frutto dellalbero della conoscenza: I loro occhi si
aprirono e si resero conto di essere nudi. Perci intrecciarono foglie di fico
intorno ai fianchi[43].
Gi Erodoto notava come presso i Lidi ed altri Barbari, costituisse motivo di
vergogna farsi vedere nudi, anche per un uomo[44].
La
nudit segnala la non appartenenza dellumano alla dimensione ferina, naturale,
dellanimalit: lumano nudo
perch privo di pelliccia. Daltra parte, lingresso nella dimensione culturale
si attua solo quando il negativo della non-naturalit si converte nella piena positivit
della civilizzazione, mediante ladozione di un abbigliamento consono alle
circostanze.
La
nudit delle raffigurazioni maschili nellarte plastica greca, dunque, indica
una certa qual onnipotenza della creatura rappresentata, ancora al confine tra
selvatichezza naturale e civilizzazione. La non-nudit delle raffigurazioni
femminili, invece, riconduce la donna alla totale, e necessaria, sua
integrazione nella dimensione culturale locale, laddove labbigliamento
riflesso delle specificit dei costumi.
La
nudit delle rappresentazioni maschili, inoltre, mette in risalto la
particolare struttura anatomica del corpo. Laffermarsi dellarte medica in
anni coevi ha certamente contribuito ad una migliore conoscenza del corpo
umano, fornendo base per il delinearsi dellidea di corpo come struttura che
origina dallintegrazione vitale di organi complessi. La necessit di offrire
riparazione alle ferite di guerra, sempre pi frequenti nellarea per il
precipitare degli eventi, dallinvasione Persiana sino alla guerra del
Peloponneso, permise laffinarsi delle tecniche chirurgiche, che trassero
indubbio vantaggio dalle descrizioni sempre pi precise prodotte dal metodo
naturalistico.
La
catastrofe della peste in Atene (429 a.C.) pot, per la testimonianza di
Tucidide[45], appannare
il lustro che la nascente scienza medica aveva conquistato. Ma il periodo di
irrazionalit e di superstizioni che ne segu, aperto da una stagione di
caccia alle streghe inaugurata da alcuni processi intentati a filosofi ed intellettuali
del circolo di Pericle con accuse di empiet[46],
non valse a cancellare la definitiva affermazione dellapproccio sperimentale,
che ebbe in Aristotele, non a caso figlio di un medico, il suo principale
paladino[47].
Unaltra
fonte di conoscenze del corpo umano fu la pratica ginnica, al principio quasi
certamente arte militare, atta a rinforzare la corporatura del soldato e a
temprarne la resistenza alla fatica. In seguito, e gi a partire
dallistituzionalizzazione di giochi panellenici, tecnica di allenamento alla
vittoria nellagone sportivo. La documentazione storica testimonia di un
progressivo perfezionarsi delle tecniche ginniche, con sviluppo di protocolli
di potenziamento specifici per ogni tipo di gara, mirati quindi a gruppi
muscolari selezionati, parallelamente ad una sempre maggiore attenzione
dedicata alla dieta dellatleta[48].
Il merito di avere introdotto per gli atleti la dieta carnea, che sostituiva
una precedente dieta a base di formaggi attribuito da Pausania a un tal
Dromeo (=Il corridore), pi volte
riuscito vincitore nelle gare dei principali santuari della Grecia[49].
Leccellenza atletica di Dromeo, e forse la sua innovazione alimentare, gli
valsero una statua, opera di un tal Pitagora di Reggio, che Pausania qualifica
come valente[50].
Lassunzione della propria cultura, in relazione al
trattamento del corpo e dellabbigliamento, implica il riconoscimento di una
distanza dalla natura, ma anche laccettazione della esistenza di culture
diverse dalla propria, rispetto alle quali ci si definisce in termini di
alterit spaziale ed insieme morale. Leccesso di attenzione al corpo ed
allabbigliamento, che si manifesta nella cosmesi e nel lusso, finisce per
condizionare una sostanziale negazione della personale identit, che viene
artificiosamente separata dalla semplicit, allo stato selvaggio, della natura,
ma anche dalla appartenenza culturale come tale.
Il carattere universalistico della cosmesi, nel mentre
costruisce una seconda natura nel corpo, negando per ci stesso ladesione ad
una specifica cultura locale, anche si configura come antitesi dellesotismo.
In questo senso la cosmesi, come il lusso, si trovano su un polo opposto a
quello dellesotismo, e dunque della assunzione della alterit, che nel mentre
nega la cultura locale ne conferma, nel contempo, la legittimit come termine
di paragone.
La cosmesi, che costituisce una seconda natura
per le donne, ne indica il potenziale sovversivo, capace di scardinare insieme
la norma naturale e quella fissata dalla cultura locale (tabella 4). Non un
caso che la figura che maggiormente incarna questo potenziale sovversivo, il
dio Dioniso, dio delle maschere e dei travestimenti, abbia connotazioni
sessuali ambigue[51].
Pi facilmente la donna si lascia tentare dalle
culture altre, o proviene da culture altre, di contro alla tetragona localit
dei maschi, che, in forma mitica, esibiscono la personale identit virile in
forma teriomorfa, laddove le donne pi spesso si accompagnano allanimale
fecondatore come tali, e non gi mutate nellaspetto. Zeus, che rapisce Europa
in sembianze di toro[52],
o si congiunge a Leda in forma di cigno[53],
incarna lonnipotenza teriomorfa della virilit, laddove le sue compagne
testimoniano della coincidenza di forma e sostanza nella femminilit. La donna
ci che appare: luomo non ci che sembra.
Che la femminilit, per luomo greco, rappresenti il
totalmente altro rispetto
allidentit maschile indicato dal carattere paradossale dellaffermazione
del primato muliebre. Esso si realizza, nella documentazione dellepoca, in tre
forme: sul piano mitico, nei racconti sulle Amazzoni[54];
sul piano politico, nella satira aristofanea di un mondo governato dalle donne[55];
sul piano religioso, nella separatezza assoluta del culto dionisiaco[56].
In tutti i casi, il primato muliebre coincide con un
mondo rovesciato, che vede luomo in casa, e la donna impegnata fuori dalloikos, ed anche dalla polis. Erodoto sceglie lEgitto come luogo atto ad illustrare il mondo rovesciato del primato
femminile, un mondo dove le donne frequentano il mercato e commerciano, gli
uomini stanno a casa e tessono. [] Gli uomini portano i pesi sulla testa, le
donne sulle spalle. Le donne orinano dritte, gli uomini accovacciati. Fanno i
bisogni in casa e mangiano fuori, per le strade; come spiegano, bisogna fare di
nascosto le cose vergognose ma necessarie, mentre quelle non vergognose vanno
fatte all'aperto[57].
Erodoto
non annovera tra i suoi personaggi una figura femminile che incarni i caratteri
dellesotismo. Il mito coevo, tuttavia, registra due figure femminili che
possono con buon motivo essere iscritte in questa dimensione. Sono entrambe
maghe, dotate di un fascino che in parte deriva dal loro porsi come eccentriche
rispetto alla centralit maschile tipicamente ellenica: una, Medea, proveniente
da una terra del lontano Oriente, la Colchide, laltra, Circe, insediata in
lande dellestremo Occidente. Entrambe seducono grazie al ricorso a filtri ed
incantesimi, rapportandosi al maschio secondo criteri che non implicano una
immediata sudditanza, ma prevedono invece la minaccia della restituzione alla
dimensione ferina, per trasmutazione in animale, o la definitiva annichilazione
della continuit culturale, per sterminio della discendenza.
La
tradizione mitografica istituir tra le due maliarde una parentela[58],
riconoscendo con ci una contiguit di tratti che accomuna le due figure sotto
il segno della irriducibilit al maschile. Ma non lopposizione al maschile
il principale asse di prossimit tra le due figure. N Circe, Lammaliatrice
che circuisce, n Medea, Lintrigante, si caratterizzano per lessere primariamente
antagoniste della figura maschile: al contrario, ne subiscono il fascino, al
quale cedono, seppure per proprie segrete mire.
Esse,
tuttavia, esercitano il proprio potere di seduzione per attrazione in un
territorio che si dimostra estraneo a quello delleroe circuito: Circe consente
ad Ulisse/Odisseo laccesso al regno dei morti, il totalmente altro della dimensione terrena[59].
Medea, invece, conferisce al proprio compagno i caratteri dello straniero,
costretto a venire a patti con il potere locale per assicurare a s ed alla
propria famiglia i mezzi per la sopravvivenza[60].
Tale attrazione verso lesterno, che lesotismo comporta, finisce per attivare
un conflitto che si rivela mortale per colui che ne sia rimasto vittima. Come
gi Scila, nel racconto erodoteo, anche Giasone, direttamente, e
Ulisse/Odisseo, indirettamente, troveranno la morte per causa dellamaliatrice
esotica che li ha sedotti. Giasone si dar la morte per la vergogna ed il
dolore causatigli dalluccisione, per mano di Medea, dei figli e della nuova
compagna, Glauce, figlia del re di Corinto. Ulisse/Odisseo finir ucciso per
mano del figlio avuto da Circe, Telegono, a lui ignoto e giunto sulle sue
tracce proprio per indicazione della madre. Secondo un mito tardo, Telegono
giunge inatteso ad Itaca, sbattutovi da una tempesta e, spinto dalla fame, si
abbandona al saccheggio. Ulisse/Odisseo affronta linvasore, ma viene ucciso.
Dopo linconsapevole parricidio, Telegono si reca dalla madre in compagnia di
Penelope e del fratellastro Telemaco. Compiuti i riti sacrificali, viene
celebrato un duplice matrimonio: Telegono sposa Penelope, e Telemaco sposa
Circe[61].
La stessa discendenza di Ulisse/Odisseo finisce attratta nei domini esotici
della maga, e il duplice incesto, appena mascherato dallo scambio delle madri
tra i fratellastri, testimonia di un potere delle donne, quello della
generazione, che lega per sempre il figlio alla madre, e dal quale il maschio
invece escluso.
Lambiguit
sessuale si pone sul polo opposto della virilit in un piano diverso da quello
femminile. Lambiguit sessuale conserva insieme alcuni tratti dellonnipotenza
selvaggia della natura di contro allassunzione della totale anti-naturalit
che propria della cosmesi.
Caratterizzata
da una connaturata ambiguit sessuale la figura dello sciamano, di cui il
mito greco conserva sottili tracce. I Greci, in effetti, si mostrano piuttosto
incerti riguardo a questa figura di divinatore, che faticano ad inquadrare
secondo le loro categorie. Ne esempio la descrizione che Erodoto d degli Enarei (= ermafroditi), sciamani della Scizia, che in un
passo dichiara affetti da malattia muliebre, per via della maledizione di una
dea[62],
in altro, sbrigativamente, qualifica come ndrgunoi, e in ci beneficiati da Afrodite, che avrebbe
concesso loro il dono della divinazione[63].
Anche
le doti mantiche di Tiresia, lindovino interprete di Apollo, erano ricondotte,
in alcune versioni della sua mitobiografia, ad una mutazione di sesso, cui
sarebbe andato incontro per una imprecisata infrazione sessuale: avere
assistito allaccoppiamento di due serpenti, o avere colto le nudit di una
dea. Avendo sperimentato entrambi gli stati di genere, Tiresia interrogato
sulle propriet sessuali di ambedue, suscitando, con le sue risposte, le ire di
Era, moglie di Zeus e dunque regina degli di, che lo punisce rendendolo cieco.
Zeus, per lenire le conseguenze della vendetta della sposa, conferisce allo
sfortunato mortale la virt profetica[64].
Tiresia,
quindi, condannato alle tenebre della cecit, vede nel futuro, sebbene
terribile sia questa sua conoscenza, laddove si riveli inutile: come sar per
lEdipo sofocleo, impossibilitato a fare uso della sapienza mantica
dellindovino pena la perdita della sua legittimazione a governare[65],
o per il Narciso ovidiano, condannato dalla profezia del vate ad unesistenza
segnata dallignoranza di s[66].
Il
Narciso delle Metamorfosi
conserva, ancora oggi, una potentissima valenza simbolica: egli metafora
dellimpossibilit di accedere allidentit, che richiede lassunzione di un
preciso ruolo di genere, in mancanza del confronto con laltrui alterit.
Narciso, che una profezia ha destinato a non poter conoscere il proprio s per
autoriflessione, vive in una dimensione di selvaggia naturalit nella quale
lonnipotenza ferina, propria del cacciatore, si rivela nientaltro che una
maschera della im/potenza. Narciso non capace di reciprocit, non pu
con/venire verso laltro, e, dunque, impossibilitato al co-ire della
sessualit[67].
Al
grado zero, comunque, lambiguit sessuale quella delluomo reso donna: del
castrato. I Greci conoscevano la furia atroce dei galloi, i sacerdoti della crudele dea Kubele, la Grande
Madre[68]: Un uomo salt allimprovviso sullaltare, poi, dopo
averne fatto il giro, si tagli con una pietra i genitali, cos Plutarco, che
racconta di un episodio avvenuto poco prima della infelice spedizione di
Sicilia del 415[69].
Pausania
racconta un mito complesso, quasi certamente una tarda rielaborazione di miti
antichissimi, che iscrive la cerimonia dellautocastrazione in un conflitto
incentrato sulla sessualit. Zeus, avendo disperso il proprio seme, d vita a
un demone bisessuato, Agdistis. Gli di, per, temendone il potere, lo
incatenano, e lo privano dei genitali maschili. Da questi nasce un mandorlo, e
quando il suo fiore giunge a maturazione, colto dalla figlia del fiume
Sangario, che se lo pone in grembo, venendone ingravidata. Il bimbo che ne
nasce, chiamato Attis, di sovrumana bellezza, e Agdistis se ne innamora.
Divenuto adulto, Attis mandato a Pessinunte, destinato a sposare la figlia
del re. Folle di passione, il dio castrato si presenta sul luogo delle nozze, e
infonde analoga follia nei convitati: Attis si recide i genitali, ed analogo
gesto compie il padre della sposa. Pentito di ci che ha fatto, Agdistis
ottiene da Zeus eterna protezione per le membra di Attis[70].
Erodoto
registra in tono neutrale labitudine persiana di predare i fanciulli pi
prestanti delle citt conquistate per poi mutilarli al fine di renderli eunuchi[71].
In un passo successivo, per, riferisce la vicenda di Ermotimo di Pedasa, che
sub la castrazione ad opera di un certo Panionio, cittadino di Chio, uso a
guadagnarsi da vivere rivendendo fanciulli da lui personalmente mutilati,
poich presso i barbari gli eunuchi sono pi apprezzati dei veri uomini, per
la completa fiducia di cui godono[72].
Ed appunto la capacit di suscitare laltrui fiducia che consente ad Ermotimo
di trarre per loltraggio subito la vendetta pi tremenda che mai si sia
verificata fra gli uomini che noi conosciamo[73].
Introdotto a corte, Ermotimo diventa il pi apprezzato tra gli eunuchi di
Serse. Incontrato per caso Panionio, lo convince a seguirlo, promettendogli
grandi favori e premi in virt della posizione raggiunta. Panionio decide di
fidarsi del giovane, e conduce con s moglie e figli. Ma quando leunuco ebbe
in sua balia la famiglia di chi lo aveva mutilato, svel il suo vero intento,
schernendo lantico torturatore ed obbligandolo, poi, a mutilare di propria
mano i quattro figli, i quali, a loro volta, furono poi obbligati a castrare il
padre: In tal modo si abbatt su Panionio la punizione degli di e la vendetta
di Ermotimo[74]. Ancora una volta la nettezza
dellepisodio a rivelare il punto di vista dellautore, che come i Greci
guardava con orrore allatto della mutilazione sessuale.
Allestremo
opposto della castrazione il travestimento: atto attraverso il quale luomo
assume sembianze femminili senza venir meno alla propria identit. Nelle Baccanti, Penteo accetta di travestirsi da donna, su
suggerimento del mistagogo che si spaccia per Dioniso, al fine di poter
partecipare, non riconosciuto, allorgia che le donne di casa hanno organizzato
sul monte Citerone. Labiura al proprio credo razionalista gli sar fatale:
scambiato per un animale, Penteo finir vittima dello squartamento rituale, lo sparagms, proprio del culto dionisiaco[75].
In
questo mito, la negazione dellidentit virile (a), per assunzione
dellalterit femminile (-a) conduce ad unambiguit (-1/a) che risolta per
rovesciamento della iniziale identit (1/a), sino alla regressione alla
dimensione ferina. Ma lidenti/ficazione
con la natura proprio ci che il culto dionisiaco assume come impossibile:
lanimale ucciso. Mangiare crudo lanimale fatto a brani significa accedere
alla dimensione selvaggia per negazione della civilizzazione (cultura della
cucina): ma, appunto, si in/corpora
lanimale, non si diventa tale. La perdita del controllo di s concessa
dallinebriamento con la bevanda del dio (vino) o dalla mania indotta dalla
psicomotricit guidata dalla musica (orgia), sono modalit di sperimentazione
dellkstasis, delluscire da s: entrambe
implicano un conflitto con la personale identit, che si desidera abbandonare
per permettere lenthousiasms, la
venuta del dio nello spazio del corpo. Tuttavia, e nel contempo, si tratta di
pratiche regolate, che scontano il limite insuperabile di avere lidentit del
soggetto come margine ineliminabile di confronto: si abbandona
uninsoddisfacente identit perch
se ne possiede una. Senza identit non possibile kstasis, n enthousiasms.
In
ultima analisi, il corpo acquista una qualit significante in quanto in esso
pu essere iscritto un segno. Il corpo segnato, marchiato cio da segni che istituiscono una
riconoscibilit imprescindibile, , in Grecia, riconducibile ad una triplice
dimensione: quella delluomo libero, marchiato da ferite sofferte in guerra o
durante la caccia; quella dello schiavo, marchiato per ribellione o segnato
dalle percosse del padrone; quello dello straniero, che volontariamente incide
sulla pelle, come tatuaggio o scarificazione, i segni dellappartenenza
culturale[76].
Lo
stato naturale si caratterizza per lassenza di marche: lo stato di cultura,
per lanimale, sorge nel momento in cui lanimale sottoposto alla
marchiatura. Per converso, leroe culturale si configura come colui che
indossa, sulla propria, la pelle dellanimale da lui sconfitto: per Eracle,
prototipo delleroe apportatore di civilt, la pelle di leone vale come segno
della supremazia della cultura sulla natura. Per Teseo, vale la
contrapposizione tra corpo liscio delleroe culturale e corpo maculato
dellavversario, prototipo della ferinit e dello stato selvaggio, dunque della
natura non addomesticata: non-cultura allo stato puro. Ancora una volta, lo
stato naturale si caratterizza come assenza-del-segno: la pelle picchiettata del Minotauro, infatti, non
discende da un intervento delluomo, ma tale, appunto, naturalmente.
Il
riconoscimento delleroe a partire da un marchio inciso sulla pelle, che
insieme ne sustanzia lidentit nel mentre introduce la storia che ne spiega
lorigine, motivo tanto peculiare delle narrazioni popolari da avere
costituito punto di riferimento ineliminabile della grandiosa costruzione
sintagmatica elaborata da Propp per dare ragione dellapparente multiforme
variet del folklore[77].
La
cicatrice , per definizione, un marchio che rimane impresso sulla pelle a
testimonianza di una passata vicenda, e dunque situa il portatore in una
continuit narrativa che ne circoscrive lidentit. Oreste, nellElettra di Euripide, sar riconosciuto grazie alla cicatrice
riportata durante una battuta di caccia[78].
Una testimonianza tarda di Eliano (II d.C.) attesta come le pregresse
cicatrici, indice di ferite patite in battaglia, valessero come titolo donore
per il combattente: Eschilo, sottoposto a processo dai concittadini per aver
svelato particolari segreti dei misteri di Eleusi in una tragedia, sul punto
di essere lapidato quando il fratello, scoprendo le vesti dellillustre
congiunto, ne mostra le cicatrici sofferte a Maratona, salvandolo da morte
certa[79].
Come
segno della, e per la, memoria la
cicatrice pu pure essere indice di vicende umili, come lesito di una lite
amorosa o la traccia lasciata da un barbiere incapace[80].
Esistono anche cicatrici che non sanano, come il morso del serpente che ha
ferito Filottete ad una gamba, metafora di un astio che non riesce a venire
meno neppure a pena della catastrofe della propria parte[81].
La cicatrice si rivela allora puro segno, simbolo di una colpa pregressa, un
morso che fa sanguinare la memoria[82].
Il
repertorio omerico conosce gi il motivo della marchiatura delleroe, che nellOdissea si estrinseca sia in positivo, come mezzo di
riconoscimento, che in negativo, come artificio di mascheramento.
Ulisse/Odisseo riconosciuto dalla nutrice Euriclea per lantica ferita patita
ad opera di un cinghiale[83].
Il segno identitario corporale restituisce leroe ad un esser-vero che si oppone al non-esser-falso dichiarato dal medesimo nel momento in cui si
appresta ad adempiere, travestito da mendicante, allultima sua impresa: la
strage dei Proci, pretendenti indesiderati ad un trono erroneamente preteso
vacante. Il falso mendicante introdottosi a corte ha dato prova di conoscere
perfettamente labbigliamento abituale delleroe[84],
e non nega la somiglianza con il re creduto disperso[85]:
ma il segno impresso sulla carne, custode della memoria del soggetto, che ne
disvela lidentit.
Levidenza
corporea si rivela prova materiale dellidentit del soggetto: ma pu valere
anche, e viceversa, da indice dellalterit. In precedenza Ulisse/Odisseo aveva
impresso su di s il marchio del reprobo al fine di mascherare le proprie
sembianze. Cos racconta Elena, restituita alle cure del legittimo marito, a
Telemaco, giunto in Sparta alla ricerca di notizie dellaugusto padre: Dopo
aver fiaccato s stesso con colpi oltraggiosi, e gettato sulle spalle un vile
mantello, simile a un servo penetr nella citt dei nemici[86].
Il finto mendicante, introdottosi in Troia per carpire notizie utili
allassedio della citt, far poi strage degli incauti ospiti nellaprirsi la
via di fuga verso il proprio accampamento[87].
Lepisodio,
che lOdissea sintetizza, compare
in forma pi estesa in poemi di poco posteriori: nel riassunto della Piccola Iliade, che
possediamo nella sintesi delle opere di Proclo contenuta nella Biblioteca di Fozio[88],
riferito che Ulisse/Odisseo si sarebbe
autodeturpato procurandosi ferite al corpo prima di tentare la sua sortita,
informazione trasmessa anche dallo pseudo-Apollodoro[89].
Il motivo d origine poi al personaggio del finto disertore, Sinone[90],
che comparirebbe gi in uno dei poemi ciclici, la Distruzione di Troia[91], divenendo poi il protagonista eponimo di una tragedia
perduta di Sofocle[92],
ed infine il maggiore artefice della caduta di Troia nel racconto dellEneide[93].
Il
modulo dellabietto che si finge
disertore per guadagnare la fiducia delle proprie vittime d vita in Erodoto ad
una delle figure pi controverse della sua narrazione: il Persiano Zopiro.
Zopiro figlio di uno dei congiurati che hanno rovesciato il governo di
Persia, uccidendo il sovrano legittimo, fatto passare per un usurpatore (il
Mago Smerdi), e facendo strage della guardia personale del Re. Le vicende
politiche e militari dellepoca spingono il nuovo governo dei Persiani a
giocare la carta dellespansione militare per rimpinguare le magre casse del
regno. Una delle prime vittime della fame di denaro del nuovo re dei Persiani,
lachemenide Dario, la ricchissima citt di Babilonia. Ma i Babilonesi non si
lasciano intimidire dalle truppe Persiane. Resistono ad oltranza, e non esitano
ad uccidere i propri concittadini pur di risparmiare sui viveri.
Zopiro
tra gli assedianti, e gli capita di rimuginare spesso su una profezia,
formulata per scherno da uno degli assediati: i Persiani la avranno vinta
quando una mula, animale notoriamente sterile, partorir un figlio. Accade che
una delle mule del suo seguito partorisca. Il prodigio inatteso spinge Zopiro a
concepire un piano ingegnoso, seppure crudele, per la conquista della citt:
Pens, dunque, che non cera alcun mezzo con cui potesse avere in mano la
citt, se non mutilandosi, e passando come disertore dallaltra parte. Allora,
senza dar molto peso alla cosa, si infligge una mutilazione insanabile: poich,
fattosi tagliare il naso e le orecchie, radere la chioma in modo indegno e
flagellare il corpo, si present davanti a Dario[94].
Zopiro espone poi il suo piano a Dario. Intende farsi passare come un
disertore, fuggito dopo essere stato mutilato ingiustamente dal suo signore:
ci gli avrebbe assicurato la fiducia dei Babilonesi. Dario, dapprima incerto,
si lascia alla fine convincere.
Zopiro
si presenta allora alle porte di Babilonia, chiedendo di conferire con i
magistrati della citt: lamenta le offese a sue dire patite ad opera di Dario
per aver egli suggerito labbandono dellassedio di una citt cos
manifestamente imprendibile. Invoca aiuto e protezione, in cambio del
giuramento di eterno odio contro lantico sovrano.
I
Babilonesi decidono di prestare fede a Zopiro, e gli affidano un comando
militare, credendo realmente chegli intenda vendicarsi di chi lo ha fatto
mutilare. Al comando di un manipolo di 1000 soldati, Zopiro, come convenuto con
Dario, si copre donore, sconfiggendo gli antichi compagni darme. Guadagnata
la fiducia dei pi sospettosi, ottiene il comando della guarnigione incaricata
di vigilare sulle mura: Quando, per, Dario, secondo laccordo precedente,
attacc tutto intorno la cerchia delle mura, allora Zopiro mise allo scoperto
tutto il suo inganno; infatti, mentre i Babilonesi, saliti sulle mura, cercavano
di respingere lassalto dei soldati di Dario, egli, spalancate le porte
chiamate Cassie e Belidi, fece entrare i Persiani entro la fortezza[95].
Nessuna
altra fonte documentaria riferisce su Zopiro e sullo strano stratagemma
adottato per la conquista di Babilonia. Ctesia, la cui attendibilit
perlomeno questionabile, indica con il nome di Zopiro un satrapo di Babilonia
al servizio di Dario, che sarebbe stato ucciso durante una rivolta. Per quanto
dichiarato da Fozio, la nostra unica fonte sui Persika di Ctesia, lepisodio narrato da Erodoto invece
attribuito ad altro personaggio ed altra epoca: Quanto lultimo riferisce su
Zopiro attribuito da Ctesia a Megabizo, genero di Serse e marito della di
lui figlia Amitis[96].
Lintero
episodio di Zopiro, in effetti, ha il sapore della leggenda, ricordando un
altro aneddoto di auto-mutilazione con intenti ingannatori, anchesso narrato
da Erodoto: Pisistrato si sarebbe mutilato alle gambe nellintento di
convincere gli Ateniesi a concedergli una guardia del corpo. Pisistrato
racconta la storico pretendeva di essere stato ferito dai suoi avversari
politici, ma una volta ottenuto il permesso di girare con la protezione di uno
stuolo di armati, sembra contro il parere di Solone, fece uso della forza per instaurare
la tirannide in Atene.
La
natura fittizia del tema del devastatore abietto appare evidente nel
parallelo romano delle imprese di Zopiro. Sesto, figlio di Lucio Tarquinio,
daccordo con suo padre ordisce un inganno per conquistare la citt di Gabios,
rivelatasi inespugnabile. Sesto finge di disertare, e si presenta ai cittadini
di Gabios come in fuga dal padre, uomo noto per la sua superbia e luso della
violenza ai fini di potere, e che gi una volta si era macchiato del sangue di
un congiunto per ottenere il trono. Sesto dichiara di temere per la propria
vita, e prega gli abitanti di Gabios di volerlo accettare come supplice, perch
nessun luogo gli pare pi sicuro di quello di coloro che sono cos fieramente
avversi a Tarquinio. Guadagnata la fiducia degli abitanti di Gabios, li incita
alla guerra contro i Romani, e tanto insiste da riuscire nel suo intento.
Poich allo scoppio delle ostilit ottiene facili vittorie contro gli avamposti
dei Romani, in virt dei precedenti accordi con il padre, gli abitanti di
Gabios lo nominano comandante in capo delle truppe.
Raggiunto
il suo principale obiettivo, Sesto nascostamente manda un messaggero a Roma,
per chiedere istruzioni. Tarquinio, non fidandosi di quellinviato, lo riceve
in silenzio, ed alle domande del messo non risponde, limitandosi a passeggiare
per il giardino della reggia, decapitando con un bastoncino i pi alti papaveri
del prato. Il messaggero torna a Gabios, e riferisce lesito, per lui
insoddisfacente, del colloquio. Ma Sesto, che ha compreso i motivi del silenzio
del padre, ben interpreta il contenuto del messaggio. Uno alla volta fa
uccidere i pi eminenti uomini della citt, alcuni scopertamente, con accuse
che li rendono invisi ai pi, altri di nascosto, tendendo loro insidie. Altri,
infine, li costringe allesilio. Cos, privata delle sue menti pi eccelse, la
citt di Gabios viene consegnata senza spargimento di sangue alle truppe Romane[97].
Livio
racconta la storia di Sesto Tarquinio miscelando due episodi erodotei: quello
dellambasciata e del taglio delle spighe, nella saga di Periandro[98],
e quello di Zopiro. Livio, per, trascura il motivo, essenziale,
dellautomutilazione, che innesca lintera vicenda in Erodoto[99].
Per
i Greci del secolo doro, in effetti, i segni impressi sul corpo sono le
stigmate dello schiavo fuggitivo[100].
Platone prescriver nelle Leggi
lobbligo di marchiare a fuoco lo schiavo che si sia reso colpevole di furto
sacrilego[101]. Secoli
dopo, lEtymologicum Magnum registrer alla voce stigmatias la condizione dello schiavo marchiato perch
improduttivo[102]. Il segno
impresso sul corpo dello schiavo pu consistere nel sigillo del proprietario[103],
come nella marchiatura dellanimale, oppure, e in forma pi complessa,
riassumere una frase, come quella ricordata da un tardo scoliaste: Gli schiavi
fuggitivi venivano marchiati sulla fronte, e venivano segnati con la frase
prendimi, sto fuggendo[104].
Medesima precauzione era adottata in Roma, con il tatuaggio della sigla FHE,
Fugitivus hic est, cui allude Plauto nella Aulalaria con lespressione ingiuriosa homo trium litterarum[105],
uomo delle tre lettere.
La
marchiatura del corpo come strumento di umiliazione era utilizzata anche a
danno dei prigionieri di guerra. Dopo il conflitto tra Atene e Samo, i prigionieri
di entrambi le parti subirono lo scorno della segnatura con il simbolo
monetario delle rispettive citt: una nave, per Samo, la civetta, per Atene[106].
Aristofane, perfidamente, alluder ai Samii come un popolo letterato, polugrammatos, nel doppio senso di colto e marchiato con segni
grafici[107].
Anche
i Persiani, nella testimonianza di Erodoto, usavano imprimere sui prigionieri
di guerra un marchio di umiliazione, per sottolineare la superiorit del
sovrano. Erodoto ricorda che i Tebani arruolati a forza da Leonida, al momento
del tracollo Spartano cercarono scampo volgendosi verso le armate Persiane,
invocandone la clemenza e proclamando la loro fedelt al re: dicendo che la
pensavano come loro e sarebbero stati tra i primi a dare al re terra e acqua;
che erano venuti alle Termopili perch costretti a viva forza e non avevano
nessuna colpa dello scacco che era toccato al re; di modo che, adducendo questi
motivi, ebbero salva la vita. [] Tuttavia non in tutto ebbero favorevole la
fortuna: non appena, infatti, i Barbari li ebbero in mano quando vennero ad
arrendersi, alcuni, pochi, li uccisero a mano a mano che savvicinavano; mentre
alla maggior parte di essi, per ordine di Serse, impressero a fuoco il marchio
regale a cominciare dal loro capo Leontiade[108].
Si
pu ben comprendere, quindi, il sospetto ingenerato nei Greci dallabitudine,
propria di popoli confinanti, di imprimere sulla pelle segni volti a indicare
lappartenenza di clan o di stirpe. Il tatuaggio, come il piercing o la
scarificazione, valgono come marca di distinzione[109],
iscrizioni che nel contempo
iscrivono il portatore ad una cerchia chiusa, che attribuisce al singolo una
identit basata sulla somiglianza dei segni indossati, siano essi marchi portati sul corpo, abiti, o ancora
stili di condotta e di espressione.
Labitudine
del tatuaggio, quale marchio identitario di appartenenza al clan, nota ai
Greci ed rappresentata come tale in alcune raffigurazioni vasarie: su diversi
vasi compaiono menadi con tatuaggi sacrali di cerbiatti[110].
Erodoto descrive lusanza come tipica di alcune trib dei Traci, popolo
selvaggio sito al confine dellambito civile e preso ad emblema dellalterit
assoluta: Gli altri Traci hanno questo costume: vendono i loro figli perch
siano condotti in altri paesi. Non sorvegliano le loro fanciulle e permettono
che suniscano agli uomini che vogliono, mentre custodiscono severamente le
donne maritate: e acquistano le donne che sposano dai loro genitori a prezzo di
grandi ricchezze. Portare sulla pelle dei tatuaggi considerato segno di
nobilt, non averne prova di ignobilt. La migliore condizione quella di
chi non si cura dei campi, la pi spregevole quella di lavorare la terra:
assolutamente splendido vivere di guerra e di rapina[111].
Qualche
decennio dopo Senofonte attribuir la pratica del tatuaggio ai Mossineci,
popolo anchesso simbolo dellinversione dei valori tipici della grecit[112].
I Mossineci, infatti, i cui figli, obesi e bianchicci, ostentano torace e
spalle completamente tatuati di fiori variopinti, fanno in pubblico ci che
normalmente andrebbe fatto in privato (accoppiarsi), e in privato si comportano
come in mezzo alla folla, come se volessero esibirsi davanti ad altri[113].
La
casistica dei popoli tatuati si estender in seguito agli Illiri[114],
ai Daci[115], agli
Agatirsi[116], ed agli
Assiri[117].
Unetimologia popolare far dei Britanni, da brith = dipingere, il popolo tatuato per eccellenza, nella
testimonianza di Erodiano (170-240 d.C.): Non portavano altre vesti che dei
mantelli fatti con pelli di bestie selvagge e si facevano sul corpo incisioni
di varie forme e figure che riempite poi con un succo di colore scuro, davano
loro una tinta che non si cancellava mai, e in questo facevano consistere il
principale loro ornamento[118].
Giulio Cesare aveva gi notato che i Britanni erano soliti tingersi il corpo di
azzurro prima di ingaggiare battaglia, al fine di impressionare il nemico.
Erodoto attribuisce medesima usanza agli Etiopi aggregati allarmata Persiana:
Quando andavano allattacco si spalmavano il corpo, met di gesso, met di
rosso carminio[119].
Lanomalia
inconsueta di un corpo dipinto tale da suscitare disorientato terrore
nellavversario, come non manca di sottolineare Erodoto riferendo un episodio
marginale ma significativo della guerra persiana, originato da antichi
dissapori tra etnie confinanti, quella dei Focesi, avversi ai Persiani, e dei
Tessali, che si erano invece resi disponibili allimpresa dellinvasore: Non
appena i Focesi, che avevano con s lindovino Tellia di Elide, si furono
concentrati sul Parnaso, Tellia escogit in loro favore questo stratagemma:
fatti ricoprire di gesso 600 uomini dei Focesi, i pi valorosi (non solo il
corpo, ma anche le armi), li mand di notte contro i Tessali, dopo aver dato
loro la parola dordine di uccidere chiunque avessero visto non biancheggiare.
Le sentinelle dei Tessali, che li videro per prime, furono prese dalla paura,
convinte che si trattasse di tuttaltra cosa, cio dun prodigio; e dopo le
sentinelle fu la stessa cosa per il grosso dellesercito; sicch i Focesi
rimasero padroni di 4000 cadaveri con i loro scudi[120].
Il
corpo tinto, tatuato o comunque alterato, suscita dunque paura, ed comunque
indice di una inconciliabile differenza, che allude alla deformit, alla
degradazione o alla turpitudine. Lintegrit del corpo quanto rimane
dellassoluta intangibilit della condizione di natura. La deturpazione, cui in
ultima analisi sono ricondotte le diverse determinazioni di modificazione
dellassetto corporeo note ai Greci, sintomo di una totale estraneit,
propria dello straniero, dello schiavo o del criminale: qualcuno, cio, esterno alla citt, e dunque non partecipe della cultura
locale. Non stupisce dunque la pratica dellinfanticidio del neonato deforme,
diffusa in Atene e prescritta istituzionalmente in Sparta[121].
Il corpo deforme portatore di una diversit malefica, che attenta
allidentit del genos come anche
allintegrit della cultura locale.
Secondo una legge attribuita a Romolo, anche in Roma
era legale uccidere il neonato malformato, o comunque portatore di mostruosit[122].
Il monstrum era lessere la cui deformit lo rendeva portatore di prodigia mala, presagi funesti. Il vocabolo
monstrum
deriva da moneo, ed da intendere quale ammonizione, segno degli di: pi propriamente il fenomeno
contro natura e come tale temibile. Per evitare la diffusione del contagio insito in
loro, i monstra dovevano essere allontanati dalla comunit in modo definitivo: solitamente
erano sommersi[123].
Il corpo segnato, che reca tracce indicative di una qualche
diversit, quindi, nella cultura greca, come in quella romana, portatore di
una dis/identit minacciosa, che nel mentre riafferma, in negativo, i termini
di esistenza della cultura locale, nel contempo richiama unalterit altrettanto possibile di
quella evocata, per contrapposizione, dallidentit data.
Conclusioni
Tucidide
osserver, con una certa acrimonia, che altri, ed il bersaglio Erodoto, hanno
reso dilettevoli i propri discorsi introducendovi elementi favolosi. Alluso
altrui della meraviglia come mezzo per attrarre lattenzione del pubblico,
contrappone la fedelt al reale della sua storia: Come un acquisto per leternit stata composta,
non gi da udirsi per il trionfo nella gara dun giorno[124].
Tucidide
finge di non capire che attraverso la meraviglia, la thaumasia, Erodoto introduce quello scarto necessario a
cogliere la differenza che separa, nella continuit del reale, il proprio
dallaltrui: lidentit dallalterit. Ma quando Tucidide scrive, lo scontro
non pi tra la Grecia e gli altri: il conflitto interno alla grecit, e il
discorso politico, quale pretende essere quello di Tucidide, non pu pi
accettare la differenza come criterio di definizione dellidentit. Nel momento
in cui gli eventi chiedono una scelta di campo senza tentennamenti, ogni
differenza azzerata, come nel drammatico dialogo dei Melii, condannati alla distruzione in nome
dellinappellabile ragione del pi forte[125].
Quando gli eventi lo richiedono dir il Pericle tucidideo bisogna saper
cogliere il kairs, giacch i
momenti favorevoli non ci aspettano[126].
Allepoca
drammatica della stasis, la
multiforme qualit segnica del corpo si riduce agli indizi: ai sintomi che ne
segnalano la sanit o la malattia, o lintegrit di contro alla disarmonia
provocata dalle ferite patite in guerra[127].
Le qualit simboliche del corpo sono ormai scisse dalla loro base fisica.
Comincia allora il cammino che condurr alla separazione dal corpo dellanima
immateriale: lembrione di quella psiche nella quale si iscriveranno le propriet intellettuali umane. Ma
questa unaltra storia[128].
Il lettore interessato allargomento oggetto del presente saggio pu consultare la bella trattazione, da una prospettiva speculare a quella seguita in queste pagine, offertane da Federico Condello, nel suo articolo Corpus loquens. Marchi, ferite, tatuaggi (e altri promemoria) in Grecia antica.
Il
sito Perseus rende disponibile al
navigatore un ricco catalogo
iconografico, nel quale possono trovarsi molte delle raffigurazioni cui
fatto riferimento nel testo.
Una
mole abbondante di notizie sulla civilt Greca antica e Romana riportata
nella Suida, immensa enciclopedia
di epoca Bizantina (intorno al X secolo della attuale era). Un consorzio di
studiosi indipendenti, il Suda-Online,
si impegnato nellencomiabile fatica di rendere pubblicamente disponibile
questimmenso patrimonio documentario. Il sito comprende anche un rinvio ai
principali repertori bibliografici accessibili in rete.
Il
sito dellUniversit di Bologna cura un aggiornato catalogo delle risorse
disponibili per lo studio delle civilt di epoca classica. A tale repertorio
pu fare riferimento chi voglia approfondire la propria conoscenza degli autori
o delle tematiche affrontate in queste pagine.
Una
ricchissima raccolta di notizie sul mito greco, con una dettagliata elencazione
delle fonti, si trova nel sito Greek Mythology Link,
opera meritoria di Carlos Parada, gi autore di un bel libro sullargomento: Genealogical guide
to Greek mythology.
[1] Lespressione inglese body of evidence,
letteralmente corpo della prova, indica nel lessico giudiziario anglo-sassone
la prova materiale in un processo; corrisponde alla nostra espressione
giudiziaria corpo del reato. Una precisazione: i caratteri in Greco sono resi
con i fonts Athenian (linstallazione gratuita).
[2] Erodoto. Storie, III.33. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000 [1
edizione 1956]
[3] Bruno Snell. Luomo nella concezione di Omero. In:
Bruno Snell. La cultura Greca e le origini del pensiero europeo. Einaudi, Torino, 2002, p. 24
[4] Snell, citato, p. 25
[5] Snell, citato, p. 28
[6] Snell, citato, p. 27
[7] Georg Simmel. Il problema della sociologia. In: Georg Simmel. Sociologia.
Edizione italiana a cura di Alessando Cavalli. Edizioni di Comunit, Torino,
1998, p. 31
[8] Platone, Cratilo, 400 C
[9] Inscriptiones Graecae, 1.77
[10] Pausania, Periegesi della Grecia, 10.10.1
[11] Una statua eretta dai Sami, allindomani
dellinsurrezione antioligarchica (410-407 a.C.), probabilmente ad Olimpia:
Pausania, Periegesi della Grecia,
6.3.15; due ritratti su affresco, celebrativi della vittoria conseguita dal
giovane Alcibiade nella corsa dei carri alla 91ma Olimpiade
(Tucidide, 6.16.12): Ateneo, I Deipnosofisti, 12.534D; Pausania, Periegesi della Grecia, 1.22.7; Plutarco, Vita di Alcibiade, 16.7
[12] Una statua commissionata da Grillo, suocero del filosofo
e suo mecenate: Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, 5.15
[13] Principali fonti storiche sullostracismo: Androzione,
FGrH 324, F6; Filocoro, FGrH 328, F30; Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 22.3; Diodoro Siculo, Biblioteca storica, XI, 55; Plutarco, Vita di Aristide, 7; Plutarco, Vita di Cimone, 17
[14] Plutarco, Vita di Alcibiade, 13; Plutarco, Vita di Nicia, 11
[15] Principali fonti storiche sui Sette Saggi; Platone, Protagora, 343A; Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, 1.13, 1.40 e seguenti; Pausania, Periegesi della
Grecia, 10.24.1; Plutarco, Il
convito dei sette saggi (Moralia,
146); Igino, Liber Fabularum, 131;
Clemente alessandrino, Stromateis,
1.14.59 e seguenti
[16] Plutarco, Vita di Aristide, 3,5; un episodio molto simile riferito a Filopemene
(252-183 a.C.), lultimo eroe della grecit, prima del definitivo soggiogamento
alla potenza di Roma: lo ricordano Pausania, Periegesi della Grecia, VIII, 50, 3 e Plutarco, Vita di Filopemene, 11, 3-4
[17] Ateneo, XII, 535e. In: I Deipnosofisti. I dotti a banchetto. A cura di Luciano Canfora. Salerno editrice, Roma,
2001
[18] Ad Atene la ripartizione in circoscrizioni, dette
demi, risale alla riforma di Klistene, ma gi allepoca dei Pisistratidi il
territorio attico era suddiviso in naucrarie, unit distrettuali che
servivano come base per la leva di mare. Allepoca micenea la documentazione
indica nel temenos lunit di ripartizione spaziale dei distretti abitativi e
produttivi
[19] Erodoto. Storie, III.116. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[20] Erodoto. Storie, II.158. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[21] Erodoto. Storie, I.134. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[22] Erodoto tiene sempre sullo sfondo la mitologia
condivisa allepoca, che evoca spesso con brevi cenni ad uso e consumo del suo
devoto pubblico, come dimostra un sommario elenco di citazioni: Agamennone,
I.67, IV.103, VII.159; Andromeda, VII.61, VII.150; Argonauti, IV.145; Cadmo,
II.49, II.145; IV.147, V.57-59; Danae, madre di Perseo, II.91, VI.53, VII.61,
VII.150; Elena, I.3, II.112, II.115-120, VI.61; Eracle, II.42, II.83, II.144;
Europa, I.2, I.173, IV.45, IV.147; Giasone, IV.179, VII.193; Ifigenia, IV.103;
Medea, I.2, VII.62; Menelao, II.113, II.116, II.118, V.94, VII.169, VII.171;
Minosse, I.171, I.173, III.122, VII.169-171; Paride Alessandro, I.3;
II.113-120; Peleo e Teti, VII.191; Priamo, I.3, II.120, VII.43; Telemaco,
II.116; Teseo, IX.73
[23] Si vedano le immagini raccolte nel Lexicon
Iconographicum Mythologiae Classicae,
dora in poi LIMC, alla voce Theseus
[24] Figura 64 in LIMC, alla voce Theseus
[25] Verso interno di una coppa, datata 400-380 a.C.,
figura 241 in LIMC, alla voce Theseus
[26] Anfora, datata 480-470 a.C., figura 238 in LIMC, alla
voce Theseus
[27] Si vedano le figure 17, 39, 40, 60, 61, 62 in LIMC,
alla voce Herakles, tutte
riproduzioni di anfore datate tra il 600 e il 500 a.C.
[28] Esiodo, frg 250
Merkelback/West
[29] Pindaro, Istmiche, 6, 47-48
[30] Apollodoro, Biblioteca, II, 4-10
[31] Esiodo, fr 217 Merkelbach-West; Stesicoro, PMG, fr 59 Page; Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, IV, 81, 3-5; Ovidio, Metamorfosi, III, 138 e seguenti; Apollodoro, Biblioteca, III, 4, 4; Igino, Liber Fabularum, 180 e 181; LIMC, alla voce Aktaion, figure 26-33
[32] Erodoto, IV.78-80
[33] Erodoto, II.131-132
[34] Erodoto, I.32
[35] Ovidio. Cosmesi del volto femminile, 1-6. In: Publio Ovidio Nasone. Versi e precetti
damore. Traduzione di Gabriella Leto.
Einaudi, Torino, 1998
[36] Properzio, I, 2.1-6: A che ti giova, vita mia,
incedere con chiome ornate ed agitare le pieghe delicate di una veste di Cos, o
perfondere di mirra siriaca i tuoi capelli, o darti in mostra con costose
esoticherie, e svilire il tuo decoro naturale con ornamenti comprati, senza
lasciar risplendere della loro grazia le tue membra?
[37] nudus Amor form non amat artificem, I, 2.8
[38] Erodoto. Storie, VIII.26. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[39] Erodoto, V.51
[40] Erodoto, VIII.5; Sullaccusa di corruzione come
strumento di polemica politica si veda Pausania, Periegesi della Grecia, VII, 10, 1-3
[41] Per una discussione problematica del tema, si veda il
bellarticolo di Lynn Meskell. Embodying archaeology. Theory and praxis. Bulletin
of the American Society of Papyrologists, 2000; 37: 171-192
[42] Sui riti di iniziazione in Grecia resta fondamentale
Angelo Brelich. Paides e Parthenoi.
Roma, Edizioni dellAteneo, 1969
[43] Genesi,
3.1-7
[44] Erodoto, I.10
[45] Tucidide, La
guerra del Peloponneso, II.50
[46] Sui processi agli intellettuali del circolo di
Pericle, si veda Eric R. Dodds. Razionalismo e reazione nellet classica. In:
Eric R. Dodds. I Greci e lirrazionale. Firenze, Sansoni, 2003 [originale in inglese, 1951], in particolare
alle pagine 239 e seguenti
[47] Una parte amplissima della speculazione del circolo
aristotelico si espresse in opere dedicate al mondo animale; tra le altre, si
ricordano: de Partibus Animalium, de
Motu Animalium, Historia Animalium, de Generatione Animalium
[48] Dettagli in: Louis E. Grivetti, Elizabeth A.
Applegate. From Olympia to Atlanta: A cultural-historical perspective on diet and
athletic training. Journal of Nutrition, 1997; 127: 860S-868S
[49] Pausania, Periegesi della Grecia, VI, 7, 10
[50] Pausania, Periegesi della Grecia, VI, 4, 4; Diogene Laerzio (Vite dei Filosofi, VIII, 12), facendo confusione, attribuisce al
filosofo Pitagora il merito dellintroduzione di una dieta carnea per gli
atleti, basandosi sulla testimonianza di Favorino di Arles (fr 44 Barigazzi),
forse indotto in errore dalla omonimia tra lo scultore e il filosofo.
[51] Nelle Baccanti il mistagogo che si spaccia per Dioniso indicato come straniero
dalle forme di femmina, e insolentito per tal motivo (versi 445-460); secondo
Apollodoro (III, 4, 3), Dioniso, orfano di madre, sarebbe stato allevato come
femmina dalla zia Ino. Una certa ambiguit di Dioniso, o comunque ambivalenza
in relazione alla sessualit, si evince anche dalle rappresentazioni plastiche
del dio; si veda in proposito: Francoise Frontisi-Ducroux, Francois
Lissarrague. From Ambiguity to Ambivalence: A Dionysiac Excursion through the
Anakreontic Vases. In: D.M. Halperin, J.J. Winkler, F.I. Zeitlin (eds): Before
Sexuality. Princeton University Press, Princeton, 1990.
[52] Esiodo, fr 140 Merkelbach-West; Bacchilide, fr 10
Snell-Maehler; Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, IV, 60, 2; Ovidio, Metamorfosi, II, 843; Apollodoro, Biblioteca, III, 1, 1; Igino, Liber Fabularum, 178; LIMC, s.v. Europe
[53] Esiodo, fr 24 Merkelbach-West; Euripide, Elena, 16-21; Apollodoro, Biblioteca, III, 10, 7; Igino, Liber Fabularum, 77; LIMC, s.v. Leda
[54] Omero, Iliade, III.189; VI.186; Apollodoro, Biblioteca, II, 3,2; II, 5, 9; Epitome, 1, 16-17; Epitome, 5, 2;
Igino, Liber Fabularum, 14; 30;
163; 241; 250; 273
[55] Lisistrata
(411 a.C.), e poi Le donne allassemblea (392 a.C.)
[56] Sul carattere principalmente femminile del culto
dionisiaco si consultino: Ross S. Kraemer. Ecstasy and possession: The
attraction of women to the cult of Dionysus. Harvard Theological Review, 1979; LM: 55-80, e
Froma I. Zeitlin. Cultic models of the female: Rites of Dionysus and Demeter. Arethusa, 1982; 15: 129-157
[57] Erodoto, II.35
[58] Sorelle, per alcuni; zia e nipote, per altri
[59] Su Circe: Omero, Odissea, X, 210 e seguenti; Ovidio, Metamorfosi, XIV, 241-415; Apollodoro, Biblioteca, I, 9, 1; I, 9, 24; II, 8, 3; Epitome, 7, 12; Epitome,
7, 16; Igino, Liber Fabularum, 125
e 127
[60] Su Medea: Pindaro, Pitiche, 4, 9; Euripide, Medea, 6.394 e seguenti; Apollonio Rodio, Argonautiche, III. 844 e seg.; III.1026 e seg.; Diodoro Siculo, Biblioteca
Storica, IV, 45, 3; IV, 53, 2; IV, 55,
7; Ovidio, Metamorfosi, VII, 1-158;
Apollodoro, Biblioteca, 1, 9,
23-28; Epitome, 1, 4, 5,5; Igino, Liber Fabularum, 21-27
[61] Igino, Liber Fabularum., 127; versione lievemente diversa in Apollodoro. Biblioteca, Epitome, 7,
36-37
[62] Erodoto, I.105
[63] Erodoto, IV.67
[64] Esiodo, fr 275 e 276 Merkelbach-West; Ferecide, FgrHist, 3F92; Ovidio, Metamorfosi, III, 316-338; Apollodoro, Biblioteca, III, 6, 7; Igino, Liber Fabularum, 75
[65] Sofocle, Edipo Tiranno, versi 316 e seguenti
[66] Ovidio, Metamorfosi, III, 339-510
[67] Si vedano in proposito i versi 385-392
[68] Sui Galloi
ed il loro culto: Walter Burkert. Antichi culti misterici. Laterza, Bari, 1989 [originale in inglese, 1987],
soprattutto p. 51 e seguenti e 103 e seguenti; documentazione in: Paolo Scarpi
(curatore). Cibele e Attis. In: Le religioni dei misteri. Fondazione Lorenzo Valla/Mondadori, Milano, 2003, pp.
261-347
[69] Plutarco, Vita di Nicia, 13
[70] Pausania, Periegesi della Grecia, VII, 17, 10-12
[71] Erodoto, VI.32
[72] Erodoto. Le Storie, VIII.105. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori,
Milano, 2000
[73] ibidem
[74] Erodoto. Le Storie, VIII.106. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori,
Milano, 2000
[75] Euripide, Baccanti; Ovidio, Metamorfosi, III, 511-733; Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, III, 65, 3-4; Apollodoro, Biblioteca, III, 5, 2; Igino, Liber Fabularum, 184
[76] Su questo tema, si veda: C.P. Jones. Stigma: Tattooing
and branding in Graeco-Roman antiquity. Journal of Roman Studies, 1987; 77: 139-155
[77] Vladimir Propp. Morfologia della fiaba. A cura di Gian Luigi Bravo. Einaudi, Torino, 1988
[originale in Russo, 1928], funzione 17 dello schema
[78] Euripide, Elettra, 571-575
[79] Eliano, Storie varie, V, 19; gi Aristotele aveva riferito sullepisodio,
riportando una versione secondo la quale Eschilo si sarebbe difeso dallaccusa
di empiet sostenendo di non essere al corrente del fatto che i particolari
descritti nel dramma in questione fossero riservati a pochi eletti (Etica
Nicomachea, 1111A9)
[80] Marziale, XI, 84, 13-16
[81] Sofocle, Filottete, 266 e seguenti
[82] Plutarco, Moralia 126f; in senso simile anche in Filostrato, Vita di Apollonio di
Tiana, II, 30
[83] Omero, Odissea, XIX.386-475
[84] Omero, Odissea, XIX.225-234
[85] Omero, Odissea, XIX.379-385
[86] Omero, Odissea, IV.244-246. Traduzione di G. Aurelio Privitera. Mondadori, Milano,
1991
[87] Omero, Odissea, IV.248-258
[88] PEG I, A 1, 15 Bernab = EGF p. 52, 19 Davies
[89] Apollodoro, Biblioteca, Epitome 5, 13
[90] Il nome in relazione con vocaboli che significano
danneggiare, distruggere, saccheggiare
[91] PEG A,
10 e seguenti = EGF p. 62, 14 e seguenti
[92] Aristotele. Poetica, 1459b7
[93] Virgilio. Eneide, II.57-198
[94] Erodoto. Le Storie, III.154. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori,
Milano, 2000
[95] Erodoto. Le Storie, III.158. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori,
Milano, 2000
[96] Fozio., 72, Ctesias, Persica
[97] Livio, I.53-54
[98] Erodoto, V.92.6-7
[99] Non dato di sapere, allo stato attuale delle
ricerche, se la costruzione dellepisodio della presa di Gabios sia frutto
della fantasia di Livio; lautore romano era solito fare riferimento a fonti
scritte, sulle quale si diffonde e dei cui limiti consapevole (VIII, 40), ed verosimile che abbia tratto lintera
vicenda da una qualche fonte antiquaria. Dionisio di Alicarnasso, che riporta
lepisodio negli stessi termini, cita quale propria fonte lannalista Fabio
Pittore (Antichit Romane, IV, 58)
[100] Menandro, Samia, 323; in tal senso anche Plutarco, Moralia, 463A-B
[101] Platone, Leggi, IX, 854d
[102] Etymologicum
Magnum, p. 727 Kall; analogamente
Clemente Alessandrino: I marchi [stigmata] indicano lo schiavo fuggitivo, Paedagogus, III.10.4
[103] Diogene Laerzio. Vite dei filosofi, IV.7.46
[104] Scolii ad Eschine, 2, 79, p. 56 Dindorf
[105] Plauto. Aulalaria, 325; sul ricorso alla marchiatura, e pi spesso al tatuaggio, come
misura di punizione si consulti: Mark Gustafson. Inscripta in fronte: Penal
tattooing in late antiquity. Classical Antiquity, 1997; 16: 79-105
[106] Duride, FgrHist, 76F66; Plutarco, Vita di Pericle, 26.4; Eliano, Storia varia,
II, 19
[107] Aristofane, fr. 71, K.-A.
[108] Erodoto. Storie, VII.233. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[109] mile Durkheim. Le forme elementari della vita
religiosa. Milano, 1982, p. 380
[110] Si veda Eric R. Dodds. I Greci e lirrazionale. Firenze, Sansoni, 2003 [originale in inglese, 1951],
p. 213 e bibliografia ivi citata; ulteriore documentazione in Konrad
Zimmermann. Ttowierte Thrakerinnen auf griechischen Vasenbildern. Jahrbuch
des Deutschen Archologischen Instituts, 1980; 95: 163-196
[111] Erodoto. Storie, V.6. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[112] Senofonte, Anabasi, V.4.32
[113] Senofonte, Anabasi, V.4.34
[114] Strabone, Geografia, VII, 5, 4
[115] Plinio, Storia Naturale, XXII, 2, 1
[116] Pomponio Mela, Chorographia, II, 10
[117] Luciano, Sulla dea Syria, 59
[118] Erodiano, Ab excessu divi Marci, III, 14, 7
[119] Erodoto. Storie, VII.69. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000
[120] Erodoto. Storie, VIII.27. A cura di Luigi Annibaletto. Mondadori, Milano, 2000; sullo
stesso episodio ritorner Pausania, Periegesi della Grecia, X, 1
[121] Plutarco, Vita di Licurgo, 16. Sullargomento, molto documentato larticolo di
Cynthia Patterson. Not worth the rearing: The causes of infant exposure in ancient
Greece. Transactions of the American Philological Association, 1985; 115: 103-123
[122] Dionigi di Alicarnasso, Antichit Romane, II, 15; Cicerone, de Legibus, 3, 8, con allusione alle leggi delle XII Tavole
[123] Documentazione in: Eva Cantarella. I supplizi
capitali in Grecia e a Roma. Rizzoli,
Milano, 2000
[124] Tucidide, La
guerra del Peloponneso, I.22.
Traduzione di Luigi Annibaletto, Mondadori, Milano, 1952
[125] Tucidide, La
guerra del Peloponneso,
V.84-113. Sul razionalismo politico di Tucidide, si veda Luciano Canfora. Tucidide. Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1991
[126] Tucidide, La guerra del Peloponneso, I.142
[127] Si veda, ad esempio, la descrizione dei corpi
sconvolti dalla peste in Tucidide, La
guerra del Peloponneso, II.49
[128] Su questo particolare percorso della corporeit nellet classica, si veda Mario
Vegetti. Anima e corpo. In: Mario Vegetti (curatore). Introduzione alle
culture antiche II. Il sapere degli antichi. Bollati Boringhieri, Milano, 1992, pp. 201-228.
Lautore desidera ringraziare il personale della biblioteca del
Dipartimento di Psicologia e della biblioteca del Dipartimento di Filologia
dellUniversit di Cagliari, e quello della biblioteca del Dipartimento di
Scienze dellAntichit dellUniversit di Padova per il cortese aiuto nel reperimento di materiali
bibliografici rari o di difficile localizzazione