Premessa
Nelle
attività mentali si possono distinguere due differenti funzioni.
Si
tratta della funzione metacognitiva e della funzione
cognitiva
Tra
queste due vi è un rapporto gerarchico.
Tramite
la funzione cognitiva, la mente elabora le informazioni provenienti
dall’ambiente esterno e percepite per mezzo dei recettori sensoriali;
organizza, inoltre, queste informazioni su basi spaziali, temporali e logiche.
Il
mondo che ci circonda è il risultato di questo complesso procedere.
La
mente umana, inoltre può interpretare
“il mondo che ci circonda”, quel mondo, cioè, che ha percepito ed organizzato
attraverso la precedente funzione. Questa è la caratteristica della funzione
metacognitiva
Il
linguaggio è lo strumento di cui si serve la mente per la sua funzione interpretativa.
La
funzione interpretativa si riconosce facilmente poiché è supportata dalle correlazioni e dal rapporto riferimento/riferito.
Con
questo intendiamo dire che ogniqualvolta, col linguaggio, effettuiamo una correlazione oppure stabiliamo una
relazione riferimento/riferito,
stiamo effettuando una funzione interpretativa.
Vi
è una corrispondenza biunivoca tra cognitivo e metacognitivo.
Tutto
ciò che noi umani, tramite il linguaggio, “interpretiamo” (livello
metacognitivo), è costruito dalla mente a livello cognitivo.
Il
leone, prima di attaccare la gazzella si porta a circa dieci metri da essa. A
livello cognitivo il leone calcola la “distanza” al di sopra della quale
l’attacco è inutile. Il leone, però, non ha il concetto di “distanza”, non ha
il concetto di “destra” né quello di “sinistra”. Questi, infatti sono
interpretazioni di quanto si osserva. L’uomo,
quando utilizza questi concetti utilizza funzioni metacognitive della
mente.
In
questo saggio tratteremo i processi mentali che riguardano esclusivamente la
funzione cognitiva.
Purtroppo,
“parlare” di questi processi significa “interpretarli”, utilizzando strutture
correlative. Non si può infatti uscire dai nostri schemi mentali.
L’affermazione
che il movimento oculare da un oggetto all’altro si può interpretare come
un’inferenza logica del tipo “se…allora”, non significa, quindi, che per
effettuare questo movimento gli uomini e gli animali devono ragionare.
L’inferenza
logica “se…allora” fa parte della funzione metacognitiva attraverso cui
“interpretiamo” la realtà che ci circonda; essa quindi, in questa prima parte
del saggio è da considerarsi come uno strumento linguistico per spiegare
determinati processi. Questi processi, però, non sono di “tipo correlativo”. Si
tratta, appunto, di automatismi cognitivi e l’apprendimento avviene in modo
inconsapevole.
Lo
stesso dicasi per concetti quali “destra”, “sinistra”, “tempo”, “spazio”…qui
utilizzati come strumenti interpretativi.
Sappiamo
che le elaborazioni delle informazioni provenienti dai recettori sensoriali
avvengono lungo vie disposte in parallelo.
Sappiamo inoltre che lungo il percorso vari nuclei di ritrasmissione agiscono con meccanismi eccitatori ed
inibitori al fine di accentuare i contrasti tra gli impulsi provenienti
dai sistemi sensoriali periferici[i].
Le
vie disposte in parallelo trasmettono separatamente due tipologie di
informazioni.
Si
tratta delle informazioni spaziali (via del “dove”), e di quelle modali (via
del “che cosa”)[ii].
L’accentuazione
dei contrasti, che già avviene lungo i vari nuclei di ritrasmissione e continua
nelle cortecce sensitive primarie, riguarda le informazioni modali.
Essa
consente la prima fondamentale funzione cognitiva della mente cioè quella di
separare una componente dalle altre, selezionando con l’attenzione la prima e
scartando automaticamente le altre.
Certamente,
tra le componenti modali troviamo, :
I.
vista: forma, trasparente-opaco, i colori, chiaro-scuro
II.
udito:
rumore-silenzio, suono
III.
tatto:
duro-molle, caldo-freddo liscio-ruvido, asciutto-bagnato, piacere-dolore
IV.
gusto:
dolce-amaro, salato-acido
V.
olfatto: aroma-marcio, bruciato-frutto, resina-fiore
VI.
sensazioni organiche: fame, sete, pesante-leggero,
Chiamiamo queste componenti “presenziati”,
sull’esempio di Ceccato e Vaccarino[iii].
I presenziati si caratterizzano per essere spazialmente
strutturati.
Se guardiamo il colore di un oggetto, notiamo
che esso occupa uno spazio delimitato. Lo stesso possiamo dire del duro/molle,
dei rumori,…
Lo spazio dei presenziati è determinato
dall’organizzazione somatotopica della corteccia somatosensitiva primaria,
retinotopica della corteccia visiva primaria, e per colonne di sommazione e di
soppressione della corteccia uditiva primaria.
Corteccia visiva primaria
Nella corteccia visiva primaria proiettano le
informazioni elaborate da due sistemi sensoriali.
Si tratta del sistema magnocellulare e del sistema
parvicellulare.
Il primo trasmette le informazioni spaziali, il
secondo le informazioni modali.
Questi due sistemi proiettano separatamente in due
cortecce associative diverse.
La via del “dove” proietta nella corteccia parietale
posteriore; la via del che cosa nella corteccia inferotemporale.
I due sistemi, però, nella corteccia visiva
primaria, convergono, posizionandosi
in strati diversi di una stessa colonna[iv].
Le colonne sono organizzate retinotopicamente, in
modo tale che l’ordine spaziale delle scene e degli oggetti percepiti
corrisponde all’ordine delle colonne.
La convergenza in una stessa colonna delle
informazioni magno e delle informazioni parvo, fa si che allo spazio del
sistema magno corrisponda lo spazio del sistema parvo e quindi dei presenziati.
La
mente, quindi, può, per selezionare una di queste componenti, selezionare il
loro spazio.
Poiché
i due sistemi, parvo e magno hanno lo stesso spazio, la selezione dello spazio
magno significa per un processo automatico, la selezione dello spazio parvo e
quindi del presenziato.
Lo
spazio dei presenziati concerne quattro componenti. Esse sono: la forma
relativa, la grandezza relativa, la stasi/movimento relativa, la
posizione relativa[1].
Queste
componenti variano nel rapporto percepente/percepito e sono registrate automaticamente
dalla corteccia visiva primaria.
Se
giriamo attorno ad un oggetto modificando la prospettiva, cambia la forma.
Questa variazione formale avviene automaticamente nella corteccia visiva
primaria.
Analogamente
se ci avviciniamo ad un oggetto esso appare più grande; anche in questo caso
sono i neuroni retinici a inviare alla corteccia visiva primaria le diverse
informazioni sulla grandezza che varia.
Lo
stesso si può dire del movimento, la cui percezione può variare al nostro star
fermi o in moto.
Oltre
che per forma, stasi/movimento, posizione e grandezza (componenti spaziali), i
presenziati possono variare per modalità.
Se
osserviamo un camaleonte mentre modifica il colore della sua pelle, rimanendo
immobili noi e lui, la corteccia visiva primaria registrerà l’invarianza delle
tre componenti spaziali e le modifiche modali relative al colore.
Possiamo
affermare che le cortecce primarie registrano il variare nel tempo di forma,
grandezza, stasi/movimento, posizione, chiaro/scuro, trasparente/opaco,
colore, liscio/ruvido, caldo/freddo, ...
Di
queste componenti le prime quattro, forma, grandezza, stasi/movimento e
posizione, hanno a che fare con l’organizzazione retinotopica e somatotopica,
essendo determinate dallo spazio.
La separazione figura/sfondo
Nella
corteccia parietale posteriore, come abbiamo già detto, proiettano gli spazi
costruiti dai vari sistemi sensoriali. Qui avviene la separazione
figura/sfondo.
Per
capire le modalità con cui la mente realizza questa funzione, soffermiamoci
sulle patologie attenzionali di quest’area.
Lesioni
alla corteccia parietale posteriore generano tre tipi di deficit attenzionali.
Si tratta della Emiinattenzione, della N.S.U. (Negligenza Spaziale Unilaterale)
e dell’Estinzione sensoriale. Consideriamo le prime due.
“Emiinattenzione
Il
paziente non riesce ad accorgersi di uno stimolo presentato a un lato del corpo
o in un lato dello spazio
Il
deficit può presentarsi in un ambito sensoriale o, simultaneamente, in diversi
ambiti sensoriali
Negligenza spaziale
unilaterale
Il
paziente non riesce a rilevare e a esplorare il lato destro o quello sinistro
di un oggetto o di un altro stimolo che è visto o toccato
Il
paziente non riesce a rilevare e a esplorare le parti superiore o inferiore di
un oggetto o di un altro stimolo che è visto o toccato (negligenza altitudinale)
Omissione
di dettagli del lato destro o di quello sinistro di uno stimolo che è
richiamato alla mente, come viene evidenziato da uno dei seguenti errori:
1)
Il paziente riferisce verbalmente dettagli di un solo lato di un oggetto, di
una scena o di un altro stimolo che è stato ricordato
2)
Il paziente disegna solo una parte di un oggetto, di una scena o di un altro
stimolo che è stato ricordato
3)
Il paziente assembla tutti i dettagli da una sola parte di un oggetto, di una
scena o di un altro stimolo che è stato tratto dalla memoria
Il
lato dello stimolo che è ignorato dipende dalla direzione della quale è
immaginato lo stimolo (per esempio, un paziente con negligenza spaziale
unilaterale sinistra compatibilmente tralascia qualsiasi cosa si trovi a
sinistra del suo punto di vista immaginato)
Il
paziente non riesce a vestire il lato destro o quello sinistro del corpo, ma
non entrambi (aprassia dell'abbigliamento)…”[v]
Come
si può constatare, ciò che differenzia la N.S.U dall’Emiinattenzione, è
l’attivazione della rappresentazione
mentale nella prima patologia; cosa che non avviene nella seconda.
Nella
NSU, infatti, il neglect interessa scene o oggetti non solo visti ma anche
immaginati.
Inoltre,
nella NSU il neglect dipende dall’oggetto o dalla scena la cui parte è
negletta. Cosa che non accade nella Emiinattenzione.
Pazienti
affetti da NSU negligono il fiore sinistro dinanzi ad una pianta con due fiori;
negligono la parte sinistra di un fiore dinanzi ad una pianta con un solo
fiore.
E’
lecito supporre che il primo atto attenzionale consista nella selezione di uno
spazio parietale che non concerne alcun oggetto. La mente separa figura/sfondo di un ampio “quantum
spaziale”.
Questa
prima selezione è disturbata nella emiinattenzione. Il paziente omette, in
questo primo atto attenzionale, una vasta porzione di campo visivo.
Questo
atto selettivo accende neuroni occipitali
con gli stessi campi recettivi. La scena e gli oggetti presenti nello
spazio parietale sono intravisti.
A
questo punto si ha un movimento saccadico che interrompe l’attenzione visiva e
sposta l’attenzione sull’oggetto specifico. Segue un secondo atto attenzionale
riguardante uno degli oggetti intravisti in precedenza. Tramite esso viene
circoscritto lo spazio dell’oggetto. La separazione figura/sfondo in questo
caso riguarda uno spazio più delimitato.
Questo
secondo atto attenzionale può originarsi oltre che dalle informazioni provenienti dai recettori sensoriali anche
dalle informazioni depositate in memoria relative all’oggetto memorizzato nella
inferotemporale. In questo caso saranno le rappresentazioni mentali ad essere
disturbate ed il neglet riguarderà oggetti e scene depositate in memoria.
Se
la lesione è parietale si ha il neglect , se la lesione è temporale il paziente
non riesce a costruire la rappresentazione mentale.
Relativamente
alle aree posteriori, la funzione attenzionale percettiva riguarda
esclusivamente la corteccia parietale. Quando parliamo di selezione
attenzionale dei colori, della forma, della luminosità, non vuol dire che il
processo riguarda direttamente la corteccia visiva primaria. L’attenzione
percettiva si sposta nello spazio e circoscrive uno spazio. Le forme, i colori,
il chiaro/scuro sono selezionati indirettamente grazie all’organizzazione
colonnare della corteccia ed ai campi recettivi uguali dei neuroni di ciascuna
colonna.
Anche
se la selezione attenzionale ed i movimenti attenzionali avvengono a livello
parietale essi dipendono dalla consapevolezza percettiva della corteccia visiva
primaria che informa la mente sui risultati dell’azione attenzionale.
In
altre parole nella corteccia parietale viene selezionato e seguito con
l’attenzione il “quantum spaziale”. Nella corteccia occipitale si accendono
automaticamente tutti i neuroni con i campi recettivi interni al “quantum
spaziale”. Questa accensione ci fa vedere nei dettagli tutto ciò che ricade
all’interno del “quantum spaziale”. Sulla base di questa consapevolezza
percettiva, la corteccia prefrontale organizza i processi attentivi che
coinvolgono la corteccia parietale.
Possiamo
dire che la percezione occipitale è
determinata dalla selezione attenzionale parietale, ma quest’ultima è guidata dalla percezione occipitale.
La funzione attenzionale
Supponiamo
di guardare una persona con cui stiamo parlando. Possiamo soffermare la nostra attenzione sul volto, sugli occhi, sulle
labbra…
Nell’ipotesi
che la selezione attenzionale sia di origine prefrontale, come può la corteccia
prefrontale dopo la selezione della porzione di spazio che corrisponde al
volto, spostare l’attenzione agli occhi, alle labbra?
Verrebbe
da dire che essa, collegata con la corteccia parietale su cui proiettano gli
spazi determinati dall’organizzazione retinotopica, accende i neuroni
corrispondenti al volto successivamente quelli corrispondenti agli occhi e
dall’interazione tra corteccia prefrontale e corteccia parietale si origina la
selezione attenzionale dello spazio relativo all’oggetto che vogliamo guardare e
lo spostamento nello spazio della stessa attenzione.
Questa
semplicistica ipotesi è inverosimile. Essa infatti richiederebbe che la
corteccia prefrontale agisca come un homunculus che dirige il “faro
attenzionale” nello spazio per delimitarne la parte da rendere cosciente.
Nel
passare dalla percezione del volto a quella delle labbra si ha un
restringimento focale dell’attenzione visiva, mentre nel passaggio dalla
percezione delle labbra a quella egli occhi si ha uno spostamento
dell’attenzione nello spazio. Nel primo caso, la selezione attenzionale
modifica il “quantum spaziale”; nella seconda circostanza, la selezione
attenzionale si sposta nello spazio.
Ambedue
queste funzioni sono esercitate dal circuito
oculomotore. Esso non agisce direttamente
sullo spazio parietale ma ne determina la selezione indirettamente, agendo sugli organi preposti a raccogliere le
informazioni visive, cioè gli occhi.
Il
circuito oculomotore realizza la sua funzione sulla base delle informazioni
spaziali che proiettano nella corteccia parietale e movendo gli occhi e
restringendo o ampliando il fuoco attenzionale, determina lo spazio parietale
da selezionare.
Se
l’oggetto è immobile, gli occhi ricevono il comando di rimanere immobili; se
l’oggetto si muove, gli occhi ricevono il comando di seguire il movimento
dell’oggetto.
Il
circuito oculomotore è quindi il sistema attenzionale visivo. Esso effettua la
semplice selezione di un “oggetto” immobile o in movimento che modifica la sua forma
o la sua grandezza nel tempo, attraverso due importanti funzioni:
a)
determinazione dell’ampiezza dello spazio da selezionare rispetto allo sfondo
b)
mantenimento dell’attenzione visiva sull’oggetto fermo o in moto rispetto allo
sfondo
Per
esercitare la prima funzione il circuito oculomotore necessita delle
informazioni spaziali fornite dalla corteccia parietale;
per
esercitare la seconda funzione il circuito oculomotore necessita delle
informazioni sulla stasi/movimento fornite dalla MST (area su cui proietta la
MT).
Il
circuito oculomotore, però, non si limita alla “selezione attenzionale” e al
mantenimento dell’attenzione sull’oggetto selezionato.
Esso
costruisce le relazioni spaziali e temporali
dei costrutti mentali visivi (casa, cane, uomo, duro, triste, alto...) ottenuti
dopo la selezione attenzionale.
Per
chiarire come avviene questo facciamo alcuni esempi:
Supponiamo
di osservare due quadri in successione.
Il
sistema attenzionale motorio seleziona il primo oggetto (tramite il quantum
spaziale), sposta l’attenzione nello spazio e seleziona il secondo oggetto.
Nel
compiere questo passaggio il sistema motorio interrompe l’attenzione tramite
rapidi movimenti saccadici. Può anche mantenere l’attenzione applicata sia
durante la prima selezione, sia nel passaggio, sia durante la selezione del
secondo oggetto.
Con
questo semplice agire i due oggetti sono posizionati spazialmente l’uno
rispetto all’altro nella loro stasi. La memoria di questa posizione si
mantiene nella corteccia parietale.
Nella
corteccia inferotemporale i rapporti di tipo temporale tra i due oggetti
dipendono dall’azione del sistema attenzionale motorio.
Se
questo sistema, nel passaggio tra la percezione del primo quadro alla
percezione del secondo interrompe l’attenzione tramite un rapido movimento
saccadico o semplicemente chiudendo e aprendo gli occhi, allora la corteccia
inferotemporale registra i rapporti temporali prima/dopo dei due oggetti immobili; se il sistema attenzionale
motorio non interrompe l’attenzione tra la percezione del primo e del secondo
quadro, la corteccia inferotemporale registra la lunga durata della percezione
che comprende la visione dei due quadri e della parete interposta tra l’uno e
l’altro in una situazione di immobilità.
2)
Supponiamo di guardare il viso di una persona.
Dopo
la selezione attenzionale motoria che delimita il campo visivo, l’intero viso
con le molteplici forme (occhi, naso, bocca, mento, fronte, capelli,...) viene
registrato a livello modale in un rapporto di contemporaneità.
Se
dal viso il sistema motorio restringe il campo visivo alla bocca interrompendo
l’attenzione tra le due percezioni, il sistema modale memorizza il rapporto
prima/dopo dei due percetti.
Lo
spostamento dell’attenzione dagli occhi alle labbra al naso... posiziona i questi
oggetti spazialmente. La memoria della posizione spaziale rimane nella
corteccia parietale.
Se
la persona sorride il sistema “stasi/movimento” memorizza il sorriso tramite il
movimento oculare che lo accompagna.
A
livello inferotemporale sono memorizzati i tempi
relativi alla durata del sorriso ed al rapporto temporale tra il viso fermo ed
il sorriso.
Nella
corteccia parietale si memorizzano le relazioni spaziali tra le parti in
movimento e quelle ferme.
3)
Supponiamo di osservare un camaleonte mentre modifica il colore della sua
pelle.
Il
sistema percettivo motorio può mantenere l’attenzione senza interruzioni
sull’animale. In questa circostanza a livello inferotemporale viene memorizzata
l’intera sequenza temporale, cioè il variare del colore nel tempo.
Il
sistema percettivo motorio può interrompere l’attenzione nel passaggio da un
colore ad un altro. In questa circostanza a livello inferotemporale viene
memorizzato il rapporto temporale prima/dopo dei due colori.
4)
Supponiamo di guardare una foglia.
Dopo
la selezione attenzionale, il sistema modale (inferotemporale) memorizza la
contemporaneità di forma, colore e luminosità.
Se
l’attenzione si indirizza al solo colore (sotto guida percettiva) il sistema
motorio restringe il quantum spaziale.
Fatto
analogo avviene con la luminosità che ha un proprio rapporto con la parte
scura.
Si
tratta di tre costrutti diversi (contorno, colore/colore, chiaro/scuro) con
quanti spaziali diversi.
Sono
convinto che se si registrano i movimenti oculari di una persona che osserva un
oggetto spostando l’attenzione sulla forma, sul colore e sulla luminosità, si
noterà che questi passaggi avvengono con rapidi movimenti saccadici che
interrompono l’attenzione e con movimenti che restringono, ampliano e spostano
il quantum spaziale.
Da
quanto detto si evince che tramite il sistema attenzionale motorio applicato
sulle informazioni provenienti dai recettori sensoriali la mente organizza
l’esperienza su base posizionale e temporale.
La
corteccia parietale memorizza le posizioni spaziali, la corteccia temporale
memorizza i tempi.
Il sistema attenzionale
rappresentativo
Il
sistema rappresentativo è la memorizzazione dei costrutti cognitivi attivati
dal sistema percettivo motorio attenzionale. Si tratta di un sistema attenzionale autonomo rispetto a quello
percettivo motorio.
Esso
si attiva automaticamente durante la percezione e ci fa riconoscere la
grandezza, la posizione (stasi/movimento) e le modalità.
Può
attivarsi autonomamente e consentire la straordinaria facoltà di immaginazione.
Kosslyn[vi]
ha mostrato le caratteristiche e le capacità di questo sistema. Possiamo
immaginare qualsiasi oggetto, anche più di uno, ed ingrandirlo, ruotarlo,
spostarlo nello spazio confrontarne la grandezza con un altro...
Tutte
queste attività si svolgono con tempi e modalità perfettamente coincidenti con
quelle percettive.
I
due sistemi, quello percettivo e quello rappresentativo interagiscono in
frazioni di secondo.
Si
pensi alla circostanza nella quale ascoltiamo una persona parlare. Il sistema
percettivo motorio ripartisce i molteplici suoni in frasi di senso compiuto. Se
vogliamo selezionare attenzionalmente una parola all’interno della frase appena
ascoltata, utilizziamo il sistema rappresentativo per richiamare alla mente la
frase e ripartirla in parole.
A differenza del sistema percettivo motorio
che si attiva sulla base del “quantum spaziale”, il sistema rappresentativo si
attiva su base temporale.
Il
procedimento è inverso rispetto alla percezione. Questa avviene secondo i
passaggi: quantum spaziale®relazioni spaziali®relazioni temporali. La rappresentazione
mentale avviene secondo la sequenza: (quantum temporale)relazioni temporali®relazioni spaziali®quantum spaziale
Quando
percepiamo un oggetto, il processo di costruzione è di competenza del sistema
attenzionale motorio (emisfero sinistro). L’oggetto con le sue relazioni
compete all’emisfero destro; la rappresentazione mentale, ossia la facoltà di
immaginare riguarda l’emisfero sinistro.
Il
perché di questa dislocazione sarà chiarito in seguito quando avremo spiegato
la struttura dei sistemi attenzionali motori.
I circuiti attenzionali
motori
I
circuiti attenzionali motori oltre all’importante funzione di spostare il corpo
o segmenti corporei nello spazio hanno la funzione di supportare dall’esterno
la funzione attenzionale percettiva consentendo di spazializzare, posizionare
l’oggetto esterno, nonché stabilirne le relazioni temporali.
Per
poter realizzare queste importanti funzioni è necessario che essi, abbiano il
controllo completo di ogni parte del corpo.
Questo
controllo completo ci suggerisce l’idea di chiamare l’insieme di questi
circuiti: sistema di autoconsapevolezza
corporea.
In
ogni istante la mente è consapevole della posizione di ogni distretto corporeo
rispetto agli altri e rispetto allo spazio esterno. In ogni istante la mente è
in grado di variare questa posizione secondo le possibilità che le
caratteristiche della specie consentono. Possiamo muovere un distretto corporeo
dapprima fermo o tenere fermo un distretto corporeo prima in movimento.
La
consapevolezza della posizione implica la possibilità di selezionare
attenzionalmente qualsiasi distretto corporeo.
La
facoltà di selezione attenzionale è più dettagliata della capacità motoria. Quest’ultima,
infatti, può realizzarsi solo tramite le articolazioni, che consentono di
muovere parti abbastanza ampie del nostro corpo.
La
facoltà di selezione attenzionale può riguardare porzioni più delimitate del
corpo, come, per esempio, una zona circoscritta dell’avambraccio, che a livello
motorio possiamo tener fermo o spostare per intero.
Il
sistema di autoconsapevolezza corporea
è formato da un gruppo di circuiti attenzionali percettivi
interconnessi.
Per
quanto riguarda gli esseri umani abbiamo: il circuito oculomotore, il circuito
fonoarticolatorio, il circuito dei movimenti degli arti superiori, il circuito
del fiuto, il circuito bucco/facciale, ed il circuito motorio generale.
I
circuiti motori sono completi.
Essi
hanno funzione percettiva del mondo esterno e come tali agendo sulle componenti
spaziali dell’oggetto, possono selezionare i vari presenziati oggettivi.
Hanno
anche funzione percettiva del proprio corpo e come tali agendo sulle componenti
spaziali corporee possono selezionare i vari presenziati soggettivi.
A
tal proposito, relativamente alla percezione aptica, le informazioni oggettive
sono convogliate lungo la via colonne
dorsali-lemnisco mediale (liscio/ruvido, duro/molle...); le informazioni
soggettive sono convogliate lungo la via anterolaterale
(forma, dolore, caldo/freddo...).
I
circuiti motori attenzionali hanno sia
funzione percettiva del proprio corpo sia funzione rappresentativa del
proprio corpo.
Consideriamo
la stasi/movimento. A livello rappresentativo corrisponde alla facoltà di tenere fermo o muovere qualsiasi distretto corporeo. A
livello percettivo corrisponde alla consapevolezza
della posizione della stasi e del moto di ciascun distretto corporeo.
La
consapevolezza percettiva della posizione della stasi e del moto è data dalla
informazioni provenienti dai recettori sensoriali e dai fusi neuromuscolari.
La
facoltà di tenere fermo o muovere qualsiasi distretto corporeo è data dai
circuiti motori che comprendono cortecce premotorie, corteccia motrice
primaria, cervelletto e gangli della base.
Questi
concetti sono importanti alla luce della teoria che andiamo esponendo.
Di
solito non si pensa al movimento come
una funzione rappresentativa.
Secondo
me, esso è una anticipazione della
posizione che i distretti corporei assumono l’uno rispetto all’altro e rispetto
allo spazio esterno dei loro movimenti e delle loro stasi.
L’informazione
sulla “reale” posizione , movimenti e stasi dei distretti corporei proviene
dalle informazioni sensoriali e neuromuscolari.
Anche
il quantum spaziale può essere
rappresentato o percepito.
Nel
momento in cui teniamo fermo o muoviamo un arto, stasi/movimento e quantum
spaziale sono rappresentati mentalmente.
Se,
per esempio, vogliamo prendere un oggetto, muoviamo mano e braccio.
Nel
fare ciò anticipiamo istante per istante la posizione del braccio e della mano
ci rappresentiamo mentalmente lo spazio corporeo in moto ed immobile.
Relativamente
alla percezione dell’oggetto esterno, abbiamo detto che la selezione del
colore, della forma, della grandezza, della luminosità tramite i dettagli fini
della via del “che cosa” avviene indirettamente. L’attenzione selettiva
percettiva, infatti, si realizza nella corteccia parietale dove avviene la
differenziazione figura/sfondo (sistema magnocellulare).
L’attenzione
si sposta nella “corteccia parietale”.
I
neuroni del sistema “parvo” si attivano automaticamente grazie
all’organizzazione in colonne delle cellule cerebrali.
Per
quanto riguarda l’autoconsapevolezza corporea il meccanismo è analogo. L’attenzione
si sposta a livello parietale. La sensazione di duro/molle, caldo/freddo,
dolore, si origina direttamente dopo la selezione del “quantum spaziale”
corporeo. Anche in questo caso è il sistema colonnare della corteccia
somatosensitiva primaria, a consentire questo processo.
Il
sistema attenzionale percettivo/motorio, come abbiamo visto, consta di due
componenti.
Si
tratta della componente motoria e della componente percettiva.
La
componente motoria (o di stasi) si attiva sulla base delle informazioni
percettive
Percezione e
rappresentazione
Adesso
siamo in grado di spiegare il funzionamento generale della mente umana.
Essa
agisce sulla base di due sistemi attenzionali. Si tratta dei sistemi
attenzionali motori e dei sistemi attenzionali rappresentativi.
I
sistemi attenzionali motori si attivano su base rappresentativa e supportano la
percezione degli oggetti consentendo l’organizzazione spaziale, posizionale e
temporale del mondo esterno.
Tale
organizzazione è memorizzata nelle cortecce associative parietale (posizione) e
temporale (tempi).
Sulla
base di questa organizzazione il sistema attenzionale rappresentativo può
richiamare alla mente quanto percepito; addirittura, questo sistema, non
essendo vincolato dalle informazioni provenienti dal “mondo esterno” può
costruire mentalmente oggetti o animali mai percepiti o percepibili.
L’emisfero
sinistro è dominante per funzioni rappresentative; attiva quindi tutti i
sistemi motori e le varie rappresentazioni.
L’emisfero
destro è dominante per la percezione.
Le
aree primarie
Nelle
cortecce percettive primarie è conservata la memoria degli “oggetti”
spazializzati percepiti.
Si
tratta di una memoria costruttiva. A livello mentale, l’oggetto che ci appare
davanti ben strutturato, è il risultato di un complesso processo costruttivo.
Questo processo inizia con i recettori sensoriali e si conclude nelle aree
percettive primarie. Tutto ciò che tocchiamo, ascoltiamo, guardiamo…, viene
costruito dalla mente in frazioni di secondo ed è proprio questa rapidità che
ci dà l’illusione di una “realtà” ben formata che ci circonda.
Dopo
la selezione attenzionale parietale i costrutti primari diventano consapevoli.
Ad
ogni oggetto corrisponde una specifica combinazione di neuroni spazialmente
organizzati che si occupano di forma, colore, luminosità, duro/molle,
liscio/ruvido, suono, stasi/movimento, posizione, grandezza…
La
memoria di queste combinazioni di neuroni è conservata nelle aree primarie.
La corteccia
temporale è un’area di proiezione delle aree primarie. Essa è organizzata
tramite popolazioni di neuroni su cui convergono le combinazioni di neuroni
delle cortecce primarie che si occupano del medesimo oggetto in una singola
modalità.
Se
per esempio guardiamo un animale che si avvicina , l’area f4 si occupa dei
colori, le aree MT e MST del movimento, l’area V3 della forma[vii].
L’organizzazione per campi recettivi dei neuroni, nonché la loro dislocazione
in colonne organizzate retinotopicamente ci fa apparire l’animale nella sua
integrità. Tutte queste aree proiettano su più popolazione di neuroni della
corteccia inferotemporale, che rappresentano la memoria dell’animale in moto.
Possiamo
immaginare la corteccia temporale come un magazzino ripartito in vari scomparti
contenenti cassetti dentro cui si conservano le parti degli “oggetti”
percepiti. Ad ogni cassetto corrisponde una popolazione di neuroni che codifica
la combinazione giusta di neuroni delle aree primarie in cui è memorizzata la
costruzione delle componenti oggettuali.
La
corteccia temporale, però, non può essere soltanto questo. Se fosse, infatti,
un semplice magazzino, chi mette dentro ed estrae dal magazzino stesso gli
oggetti che devono essere ricordati?
Dobbiamo
pensare ancora una volta ad un homunculus che agisce come magazziniere della
corteccia temporale medesima.
Questo
magazziniere, inoltre, deve agire secondo logica. Se infatti conservasse gli
oggetti a caso, avrebbe difficoltà a ritrovarli. Raggruppando, invece, nello
stesso scomparto gli oggetti appartenenti alla stessa categoria, per esempio le
lettere dell’alfabeto con relativi allomorfi, avrebbe più facilità a
riprenderli.
La
corteccia temporale, quindi, oltre ad essere un deposito di “oggetti”, deve
consentire la soluzione delle tre funzioni del magazziniere e cioè l’immissione
dei dati, il loro ordine, il loro recupero.
Neuroscienze
e neuropsicologia
Prima
di spiegare come avviene la funzione di “magazziniere” è opportuna una
digressione.
Lo
studio della mente avviene fondamentalmente a due livelli di indagine. Nel
primo livello gli argomenti riguardano: neuroni, nuclei di ritrasmissione,
talamo, recettori sensoriali, potenziale d’azione, campi recettivi,
organizzazione colonnare, organizzazione retinotopica, somatotopica. Questo è
il livello delle neuroscienze.
Nel
secondo livello gli argomenti vertono su: memoria, concetti, linguaggio,
relazioni spaziali, aprassia, afasia, …
Questo
è il livello della neuropsicologia.
Le
neuroscienze trattano in prevalenza argomenti conosciuti, dimostrati, su cui
c’è accordo tra gli studiosi.
La
neuropsicologia, al contrario, si occupa di problemi ancora irrisolti, su cui
divergono le opinioni e le cui teorie vengono rapidamente confutate dopo la
loro formulazione.
Questa
differenza è dovuta al fatto che gli argomenti principali relativi alle
neuroscienze riguardano funzioni nervose i cui meccanismi possono essere
spiegati studiando i singoli neuroni o gruppi ristretti di essi; gli argomenti
di neuropsicologia, al contrario, riguardano funzioni mentali i cui meccanismi
non si riescono a spiegare tramite le attività dei neuroni.
Ad
esempio, si conoscono i meccanismi con cui il cervello, utilizzando
nuclei di ritrasmissione con neuroni eccitatori e inibitori, espleta la funzione
di accentuare i contrasti delle informazioni percettive provenienti dai
recettori periferici.
Non
si conosce, però, attraverso quale meccanismo sono conservate in memoria le
esperienze pregresse; oppure, attraverso quale meccanismo attenzionale selezioniamo
un oggetto e ne scartiamo un altro.
Per
elaborare una teoria sul funzionamento della mente bisogna sapere le funzioni
di base, nonché i meccanismi di base per mezzo dei quali vengono espletate
quelle funzioni.
Le
due conoscenze devono integrarsi come avviene per la conoscenza dei vari organi
e sistemi del corpo umano
Trovare
i meccanismi per mezzo dei quali si conserva la memoria degli oggetti, si
sogna, si parla, è trovare un collegamento tra i neuroni e il pensiero. Si
tratta del passaggio dal fisico al mentale.
Le
varie teorie elaborate dagli studiosi della Scuola Operativa Italiana che si
propongono di spiegare il funzionamento della mente sulla base di funzioni
attenzionali, non contengono alcuna ipotesi sui meccanismi dell’attenzione,
meccanismi che vanno chiariti a livello cerebrale.
Affermare
che, tramite l’attenzione “effettuiamo la selezione di un presenziato
scartandone altri”, oppure che “l’attenzione si sposta”, oppure che “la memoria
strutturante tiene insieme vari momenti attenzionali a più livelli” non
chiarisce alcunché sui meccanismi di base.
Costruire
una teoria senza spiegare come combinazioni di neuroni e la loro
organizzazione generano le funzioni mentali equivale a costruire un gigante dai
piedi d’argilla.
I
processi cognitivi di cui abbiamo parlato finora e le attività mentali che
abbiamo ipotizzato richiedono specifici meccanismi. Di questo ci occupiamo in
questa seconda parte del saggio
Meccanismi
neuronali
I neuroni
si caratterizzano per il fatto che trasmettono quattro caratteristiche dello
stimolo. Esse sono: la posizione, il tempo, il potenziale d’azione (o
intensità), la modalità.[viii]
Per
spiegare una o più funzioni cognitive attraverso meccanismi neuronali non
possiamo staccarci da queste quattro caratteristiche riguardanti le interazioni
delle cellule nervose.
Qualsiasi
ipotesi travalichi questi limiti è inaccettabile proprio perché va al di là
della natura stessa dei neuroni.
Possiamo
dire che il cervello per le sue funzioni cognitive ha poche frecce al suo arco.
Ciò di cui abbonda sono le connessioni tra le singole cellule che assommano
all’incirca alla sbalorditiva cifra di dieci
alla dodicesima.
Le
conoscenze delle neuroscienze relative ai meccanismi di base riguardano aree
subcorticali e corticali. Di quest’ultime, però, si conoscono meccanismi di
base con funzioni cognitive quasi esclusivamente delle aree primarie. I
meccanismi con cui agiscono le aree prefrontali e le cortecce associative sono
pressoché sconosciuti.
I
meccanismi neuronali spesso utilizzano tutte e quattro caratteristiche dello
stimolo (posizione, tempo, intensità e modalità) per realizzare la funzione cui
sono preposti.
In
generale possiamo affermare che la posizione dello stimolo è sfruttata
dall’organizzazione con cui sono localizzati tanto i recettori
periferici quanto le colonne della
corteccia cerebrale.
Per
quanto riguarda l’intensità di scarica dei neuroni sappiamo che può
essere modificata tramite processi di amplificazione e di inibizione,
grazie all’intervento di interneuroni eccitatori o inibitori.
Relativamente
ai tempi, le scariche di popolazioni di neuroni avvengono secondo
precisi rapporti temporali. Inoltre i segnali che da vie diverse giungono ad un
neurone possono essere ritardati ed anticipati variando la
lunghezza degli assoni delle cellule efferenti.
Questo
è quanto succede ai segnali uditivi che giungono in tempi diversi ai
recettori delle due coclee. Sfruttando differenti lunghezze di assoni, gli
stessi segnali arrivano contemporaneamente alle cellule delle colonne di
sommazione e di soppressione della corteccia uditiva primaria.
La modalità
è la componente fondamentale dei processi cognitivi.
Si
distinguono cinque modalità generali: tatto, vista, udito, olfatto e gusto.
Ciascuna di esse è ripartita in varie submodalità.
I
recettori sensoriali si differenziano sulla base delle informazioni dello
stimolo che devono trasmettere.
Per
esempio i nocicettori che trasmettono stimoli dolorifici sono diversi dai fotorecettori
(coni e bastoncelli) che trasmettono stimoli di luce, nonché dai chemocettori
del gusto (bottoni gustativi) che trasmettono stimoli chimici.
I
recettori sensoriali sono neuroni di primo ordine.
Nel
suo viaggio verso la corteccia ed all’interno della corteccia stessa, lo
stimolo passa attraverso neuroni di ordine superiore. Questa serie di passaggi
consente una elaborazione dello stimolo, che modifica la sua
componente modale.
A
tal proposito ricordiamo gli studi di Hubel e Wiesel relativi alla corteccia
visiva primaria risalenti agli anni settanta.[ix]
Questi
due autori riuscirono a chiarire in che modo percepiamo la “forma degli
oggetti”.
Nella
corteccia visiva primaria vi sono colonne neuronali deputate alla percezione di
segmenti variamente orientati. Si tratta delle colonne di orientamento. Esse
sono disposte in modo tale che esiste
nella corteccia visiva primaria una rappresentazione corticale per qualsiasi
asse di orientamento e per qualunque localizzazione retinica.
Queste
colonne sono inoltre organizzate in ipercolonne. In tal modo le forme degli
oggetti che cadono all’interno del campo visivo su cui volgiamo l’attenzione,
attivano a livello neuronale l’insieme delle colonne che codificano quelle
stesse forme.
Alle
colonne di orientamento giungono stimoli provenienti da neuroni la cui
caratteristica è quella di avere un’organizzazione centro/periferia. Si tratta di cellule a campo recettivo
concentrico. Esse possono essere suddivise in due gruppi: cellule centro on
e cellule centro off .
Raccogliendo
le informazioni di questa tipologia di neuroni, le cellule presenti nelle
colonne di orientamento possono sintetizzare i vari segmenti che determinano la
forma degli oggetti
L’anticipazione
temporale come processo cognitivo di base
Siamo
giunti al punto fondamentale di questo scritto.
Qui
vogliamo ipotizzare un meccanismo alla
base di importanti processi cognitivi. Questo meccanismo collega fisico e
mentale e mostra non solo cosa fa la mente ma anche come fa.
Partiamo
da un fenomeno mentale (cognitivo) di cui è stata proposta una spiegazione fisica
(a livello cioè di popolazioni di neuroni).
E’
ben documentato il fatto che la velocità con la quale le persone riconoscono il
significato delle parole dipende da molti fattori. “Alcuni di questi riguardano
caratteristiche delle parole che sono indipendenti dal contesto: per esempio
parole che sono utilizzate con più frequenza sono riconosciute più velocemente
di quelle utilizzate di rado. Altri fattori riguardano il contesto in cui le
parole sono presentate. Per esempio parole precedute da parole di significato
simile sono riconosciute più velocemente di quelle precedute da significato
estraneo (priming semantico) ”[x]
Oltre
alla frequenza, la velocità di riconoscimento è influenzata dalla ripetizione:
parole presentate più volte in una sessione di prove sono riconosciute sempre
più rapidamente.
Per
quanto riguarda il fenomeno del priming semantico, sono state proposte
alcune spiegazioni. Secondo Collings e Loftus il prime (prima parola
presentata) prepara il terreno al target (parola di cui si misura la
velocità di riconoscimento) grazie ad un meccanismo che è stato definito diffusione
dell’attivazione. Si ritiene che questo meccanismo operi nell’ambito di una
memoria organizzata a rete semantica, all’interno della quale sono
stabilite delle relazioni tra concetti. Quando viene recuperato un concetto,
per esempio “rosa” sono resi più salienti anche i concetti collegati
semanticamente, come “fiore”, “giglio” o associativamente come “rosso”. L’attivazione
dei concetti così collegati è inversamente proporzionale alla loro distanza
all’interno della rete. Questo processo è automatico, precedente il
riconoscimento vero e proprio e quindi pre-lessicale…
Secondo
Posner e Snyder, ai processi pre-lessicali si affiancano processi
post-lessicali di tipo attenzionale, che dipendono dall’aspettativa che si crea
quando si cerca di anticipare attivamente il significato della parola target
sulla base della parola prime.”[xi]
Partendo
dall’ipotesi di Collings e Loftus possiamo spiegare la seconda “funzione del
magazziniere” e cioè quella dell’ordine con cui i dati sono immagazzinati nella
corteccia temporale. Si tratta di un ordine temporale.
Una
informazione percettiva, proveniente dalla corteccia visiva primaria giunge
nella corteccia inferotemporale.
Essa
utilizza questa informazione per anticipare la percezione successiva
preattivando neuroni che codificano gli ipotetici percetti su base
probabilistica
Intanto
la corteccia visiva primaria proietta in quest’area associativa la seconda
informazione. Essa costituisce la verifica alle ipotesi probabilistiche.
In
questo modo il cervello effettua una ipotesi/verifica.
Il
processo di anticipazione è automatico. Esso avviene sulla base dell’esperienza
pregressa.
Chiariamo
questo processo con un esempio.
Supponiamo
di leggere la parola “cibo”. Dopo aver percepito e riconosciuto la lettera “c”,
nella corteccia inferotemporale si attivano le popolazioni di neuroni che
memorizzano le lettere “a”, (ca), “e” (ce), “i” (ci), “o” (co), “u” (cu), “h”
(ch), “l” (cl), “r” (cr).
La
preattivazione di queste lettere che seguono la “c” dipende dall’esperienza del
soggetto. Più volte egli ha percepito e memorizzato la sequenza “c-a”, più
rapidamente alla percezione della “c” sarà preattivata la “a”.
La
verifica avviene nel momento in cui l’informazione percettiva sulla lettera
seguente la “c”, giunge dalla corteccia visiva primaria.
In
questo modo abbiamo spiegato le prime due funzioni del magazziniere e
cioè: chi immette i dati, chi organizza i dati.
L’immissione
dei dati avviene per mezzo del sistema attenzionale percettivo oculomotore;
l’organizzazione dei dati avviene tramite un meccanismo automatico di
ipotesi/verifica, basato sui rapporti temporali dei “presenziati”.
Resta
da chiarire la terza funzione del magazziniere, e cioè chi recupera
l’informazione dal magazzino.
Il
recupero dell’informazione è ovvio che avvenga con meccanismi analoghi a quelli
dell’organizzazione dei dati.
Nell’immagazzinamento
si attivano la corteccia percettiva primaria (con l’aiuto del sistema
attenzionale motorio) e la corteccia temporale.
Nel
recupero si attivano corteccia prefrontale e corteccia temporale.
La
domanda da porsi è: come imparano corteccia prefrontale e corteccia temporale ad
effettuare il recupero?
L’apprendimento
avviene in modo semplice.
Ritorniamo
all’esempio precedente.
Dopo
aver letto la lettera “c” della parola “cibo”, informazione sulla lettera
percepita e riconosciuta, giunge alla corteccia prefrontale che, sulla base
dell’esperienza pregressa ipotizza quale lettera seguirà la “c”.
Si
tratta di una ipotesi probabilistica su base temporale. Tante più volte è
apparsa la “a” dopo la “c”, tanto più probabilmente la seconda lettera sarà la
“a”.
La
corteccia prefrontale accende popolazioni di neuroni della corteccia temporale
che memorizzano la “a” ed in successione probabilistica quelli che memorizzano
la “e”, la “o”…
La
verifica sulla correttezza dell’ipotesi prefrontale si ha quando la
corteccia percettiva primaria invia l’informazione “reale” della seconda
lettera che segue.
Come
si può constatare il meccanismo è analogo al precedente. La sola differenza è
che nel primo erano coinvolte corteccia primaria e temporale, nel secondo vi è
l’intervento anche della corteccia prefrontale.
Se
il riconoscimento avviene con il solo coinvolgimento corteccia
primaria/corteccia temporale, qual è la necessità del secondo meccanismo che
attiva anche la corteccia prefrontale?
Il
motivo è dato dal fatto che la mente deve poter “estrarre” dal magazzino
l’informazione contenuta. Tale compito deve essere “appreso”. Tramite questo
meccanismo la mente impara ad “estrarre” informazione dal magazzino della
memoria.
Tale
“estrazione” avviene attraverso l’esperienza percettiva che informa la mente sulla
frequenza temporale con cui ad un presenziato ne segue un altro. Sulla base di
questa frequenza istante per istante la mente impara ad estrarre dal magazzino
l’oggetto adeguato a quello che si è estratto una frazione di secondo prima.
Supponiamo
di andare incontro ad una persona. L’immagine che la corteccia visiva primaria costruisce possiamo definirla come
“essere umano maschile adulto”. La lontananza, infatti, ci impedisce di
cogliere quei dettagli che ci consentirebbero di capire l’età presunta, la
corporatura, il colore degli occhi,...
Avvicinandoci
alla persona la percezione diviene più dettagliata e concomitantemente ad essa
le cortecce prefrontale/temporale effettuano ipotesi, istante per istante, sul
variare nel tempo della figura. Ipotesi confermate o smentite una frazione di
secondo successiva.
Possiamo
affermare che esse stanno imparando attraverso un processo di prova/errore a
ricostruire l’intera sequenza percettiva.
Il
succedersi delle percezioni arricchisce di dettagli la figura prima indeterminata,
tanto da poterla individualizzare. Essa è specifica di quel singolo individuo.
A
livello prefrontale e inferotemporale sono registrati i vari mutamenti
dell’immagine nel tempo, acquisiti secondo il processo di ipotesi/verifica.
Inoltre la costruzione ipotetica che precede quella “reale”, consente alla
mente di imparare ad attivare, autonomamente rispetto al sistema percettivo, le
immagini mentali.
La
mente, con questo meccanismo ha imparato non solo che da una figura
indeterminata vista in lontananza, con l’avvicinamento, si susseguono figure
sempre più dettagliate; ha imparato anche ad attivare i meccanismi giusti per
poter ricostruire mentalmente l’intera sequenza.
Lo
stesso procedimento si ha quando una persona o un animale o un oggetto si
allontana da noi.
A
livello percettivo, il susseguirsi delle figure, che vanno da un maggior ad un
minor dettaglio, è preceduto da ipotesi di immagini che istante per istante,
precedono la figura “reale”.
Il
sistema attenzionale rappresentativo nel suo attivare le immagini mentali,
precede di una frazione di secondo il sistema attenzionale percettivo nella sua
costruzioni delle figure “reali”.
In
tal modo il sistema attenzionale rappresentativo impara a costruire sequenze di
immagini mentali corrette.
Riepilogando.
Tramite
la corteccia percettiva primaria e la corteccia temporale impariamo a riconoscere
gli oggetti, le azioni, le scene.
Questa
funzione avviene tramite un processo di preattivazione temporale dell’immagine
che seguirà.
Tramite
la corteccia temporale e la corteccia prefrontale impariamo a ricostruire
l’accaduto.
Questa
funzione avviene tramite un processo di preattivazione dell’immagine che
seguirà.
La
nostra memoria a livello di modalità è strutturata su rapporti temporali.
Può
questo semplice meccanismo spiegare i dati sperimentali che abbiamo acquisito
dopo lunghe ricerche sulla organizzazione della memoria?
Consideriamone
alcuni.
Sappiamo
che pazienti cerebrolesi hanno deficit specifici per categorie di oggetti. Per
esempio, alcuni non riconoscono alcun tipo di animale mentre sono integre le
altre categorie.
Inoltre,
questi soggetti, dinanzi alla figura di un cammello non sanno dire cos’è, però
se si chiede loro di dire quale di due immagini corrisponde ad un “animale”,
riescono a rispondere in modo corretto.
Essi
riconoscono la categoria generale di animale ma si smarriscono nello
specificare di quale animale si tratta.
Questi
dati ci mostrano che la memoria conserva meglio i concetti generali.
Supponiamo
di intravedere in un film una “figura” in lontananza.
Le
ipotesi attivate dalle due cortecce inferotemporale e prefrontale sull’immagine
che seguirà nel tempo, si sviluppa sulla base delle probabilità. E’ lecito
supporre che le seguenti ipotesi abbiano un ordine decrescente di probabilità:
animale, felino, leone, Mufasa (il re leone).
Le
ipotesi che le cortecce prefrontale e inferotemporale ipotizzano nel tempo
sulla base delle probabilità in ordine decrescente va dal generale al
particolare.
Se
Mufasa si allontana le cortecce prefrontale e inferotemporali ipotizzano le
categorie inverse: Mufasa, leone, felino, animale.
Qui
c’è da fare una considerazione. Si può obiettare che mentre Mufasa si
allontana, sappiamo che si tratta sempre di lui. Le cortecce inferotemporali
non hanno quindi alcunché da ipotizzare.
In
effetti, quello che le cortecce inferotemporali ipotizzano è semplicemente la
caratteristica visiva dell’immagine che si presenta nel tempo.
Parlare
di felino, leone,... non è altro che interpretare,
tramite il linguaggio le immagini che via via si presentano. Questa è però una
funzione metacognitiva.
Il
meccanismo ipotizzato per spiegare come vengono immagazzinate e recuperate le
informazioni modali della corteccia temporale può essere utilizzato anche per
spiegare l’immagazzinamento e il recupero delle informazioni spaziali relative
alla grandezza, alla stasi/movimento e posizione.
Abbiamo
già detto che nella corteccia parietale proiettano le informazioni spaziali
costruite, in ambito visivo, tramite l’organizzazione retinotopica dei
recettori sensoriali della vista.
Consideriamo,
per semplicità la distanza di un “percetto” rispetto al nostro punto di
osservazione.
Supponiamo
di osservare una macchina che si avvicina (modifica la sua posizione). Essa “si
ingrandisce” istante per istante, al diminuire della distanza che ci separa.
Si
possono ipotizzare, anche in questo caso, due meccanismi di ipotesi/verifica,
il primo con funzione di riconoscimento, il secondo con funzione di “recupero”
dell’informazione.
Il
primo meccanismo coinvolge corteccia visiva primaria e corteccia parietale, il
secondo coinvolge anche la corteccia prefrontale (dorsolaterale).
Istante
per istante nella corteccia parietale l’informazione sulla grandezza
dell’oggetto e il diminuire della distanza da noi attiva popolazioni di neuroni
che, sulla base delle esperienze pregresse, costituiscono l’ipotesi della
grandezza immediatamente successiva dello stesso oggetto e della sua distanza
(il riconoscimento avviene a livello inferotemporale).
L’informazione
spaziale, proveniente dalla corteccia visiva primaria verifica la fondatezza
dell’ipotesi parietale. Questo ai fini del riconoscimento della
grandezza e della distanza.
Parallelamente,
l’informazione spaziale dalla corteccia parietale giunge nella corteccia
prefrontale, la quale sulla base dell’esperienza pregressa ipotizza quale sarà la grandezza e la distanza
nell’istante successivo dell’oggetto percepito.
Questa
ipotesi si concretizza in due modi.
1)
la
corteccia prefrontale dorsolaterale accende neuroni parietali sulla base della
sua ipotesi che può venire confermata o smentita dalla percezione “reale”.
2)
La
corteccia prefrontale dorsolaterale attiva neuroni premotori che guidano la
focalizzazione visiva sull’ipotesi di come sarà la grandezza l’istante
successivo.
La
prima modalità consente alla mente di imparare a ricostruire mentalmente la
grandezza degli oggetti. Siamo nel campo della rappresentazione mentale.
La
seconda modalità ha funzione attenzionale. Serve ad attivare il
movimento di vergenza che allinea gli occhi per consentire la fissazione
di oggetti posti a distanze diverse dall’osservatore
In
questa circostanza la mente impara a guidare i movimenti oculari in modo
corretto ai fini percettivi.
Possiamo
adesso rispondere alla domanda “Cosa è l’attenzione percettiva visiva”?
Per
la mente l’attenzione percettiva visiva è una ipotesi relativa alla
posizione, grandezza, stasi/movimento del “percetto” che sta per seguire un
precedente “percetto” già riconosciuto.
Sulla
base di questa ipotesi, le aree premotorie organizzano i movimenti corretti
degli occhi con cui si convoglia l’attenzione in un dato punto dello spazio.
Le
conseguenze percettivo/visive dei movimenti oculari sono verificate attraverso
l’immagine del “percetto” che seguirà.
Come
aveva ipotizzato Fodor[xii]
e come dati sperimentali hanno confermato il cervello è organizzato per moduli.
Ciascun modulo è costituito da uno specifico circuito che si occupa di un aspetto
parziale della conoscenza.
In
ambito spaziale esistono circuiti diversi per la “grandezza”, la
“stasi/movimento” e la “posizione” degli oggetti.
Se
consideriamo, per esempio il sistema oculomotore esso è ripartito in quattro
sottosistemi con funzioni diverse.
a)
il
sistema optocinetico che stabilizza gli occhi nello spazio quando il movimento
del capo determina lo spostamento dell’immagine di tutta la scena visiva
b)
il
sistema di movimento lento di inseguimento che provvede a mantenere sulla fovea
l’immagine dei bersagli visivi in movimento
c)
il
sistema saccadico che orienta la fovea verso oggetti che suscitano interesse
d)
il
sistema del movimento di vergenza che allinea gli occhi per consentire la
fissazione di oggetti posti a distanze diverse dall’osservatore. I bersagli
visivi che si avvicinano agli occhi diventano sfuocati e vengono messi a fuoco
per mezzo della contrazione del muscolo ciliare, che modifica il raggio di
curvatura del cristallino. Questo processo viene detto accomodazione.
Accomodazione e convergenza sono processi reciprocamente collegati[xiii]
Per
osservare un oggetto che si muove nella nostra direzione si attiva il sistema
di accomodazione e convergenza.
Per
osservare un oggetto in movimento trasversale si attiva il sistema di movimento
lento di inseguimento.
Nel
caso in cui stiamo leggendo e passiamo dalla lettura lettera per lettera, alla
lettura lessicale (l’intera parola vista con un’unica fissazione) attiviamo il
sistema di accomodazione e convergenza che ampia lo spazio della percezione mantenendosi
costante la distanza dall’osservatore.
Se
dall’osservazione di un oggetto passiamo alla percezione di un secondo oggetto
posto ad una certa distanza dal primo, attiviamo il sistema saccadico.
Queste
attività mentali si realizzano attraverso un unico meccanismo di base, che
agisce utilizzando circuiti diversi o l’interazione di più circuiti. Il
meccanismo di base è quello sopra descritto basato sull’ipotesi/verifica.
La
corteccia prefrontale dorsolaterale effettua una ipotesi di posizione in due
modi.
Nel
primo modo semplicemente attiva neuroni parietali che codificano la posizione
ipotizzata dell’oggetto sulla base della posizione precedente (rappresentazione
mentale).
Questa
attivazione è acquisita dall’esperienza che si realizza istante dopo istante.
Nel
secondo modo, la corteccia prefrontale dorsolaterale attiva neuroni premotori
che organizzano i movimenti oculari per la percezione dell’oggetto nella
posizione ipotizzata, e verificata dalla successiva percezione.
Anche
questo secondo processo è memorizzato tramite l’esperienza che si realizza
istante dopo istante.
Gli
innumerevoli circuiti modulari di cui si serve la mente per le sue funzioni
cognitivi sono anche organizzati per livelli.
Alcuni
moduli agiscono a livelli superiori rispetto ad altri.
Questo
risulta evidente nel caso della lettura.
Se
leggiamo la parola “strudel” (un dolce altoatesino), dopo aver letto “str” la
mente nelle sue anticipazioni, tiene conto delle prime tre lettere già
percepite non dell’ultima da sola.
Nella
lingua italiana, infatti la “u” dopo “str” (strumento, struzzo…) è meno
frequente della “u” dopo “r”. (rupe, rude, ruvido,…).
Il
meccanismo di “anticipazione” agisce
per gradi passando da un livello “inferiore” ad un livello “superiore”.
Ogni
parola si costruisce passando da un livello all’altro. Il livello più basso è
quello nel quale l’anticipazione avviene sulla base di un singolo percetto
precedente (“s” percepita, “t” anticipata); il livello più alto è quello che
chiude la serie delle ipotesi/verifica con il riconoscimento dell’intera parola
(“strad” percepita “a” anticipata).
Per
quanto riguarda un singolo oggetto, il livello più basso riguarda la
percezione/anticipazione generale, il livello più alto riguarda la
percezione/anticipazione particolare.
Se
stiamo cominciando a leggere uno scritto ipotizziamo di percepire una
“lettera”. In questa circostanza si attiva l’intero magazzino della memoria che
codifica le lettere conosciute ed i loro allografi.
Dopo
aver visto la lettera “s” la mente ipotizza non solo la lettera che segue ma
anche il carattere che dovrebbe essere analogo a quello della lettera
precedente.
Sempre
in ambito linguistico, è opportuno differenziare il livello lessicale dal
livello semantico.
Supponiamo
di leggere la frase: “Ricordati di portarmi il libro che ti ho prestato”.
Dopo
aver letto: “Ricordati di portarmi il libro che ti ho p…, la mente anticipa
l’intera parola “prestato”.
Riportiamo
adesso alcuni modelli che schematizzano alcune delle più importanti funzioni
cognitive
Schema
attenzionale percettivo visivo riguardante aree corticali (semplificato)
Supponiamo
che sia stata letta la sequenza di lettere “strad” di “strada”
La
corteccia prefrontale dorsolaterale ha ricevuto due “input”. Il primo dalla
corteccia parietale posteriore che l’ha informata sulla “posizione, grandezza e
stato” dell’ultima lettera “d”; il secondo “imput” è giunto dalla prefrontale
inferiore. Essa ha dato l’ok allo spostamento dell’attenzione nello spazio a
destra, poiché la percezione della lettera “d” è conforme alle aspettative.
Sulla
base delle esperienze pregresse, la corteccia prefrontale dorsolaterale
struttura il movimento oculare adeguato, postulando che la nuova lettera
avrà la dimensione della precedente, sarà immobile e si troverà a destra della
“d”.
Contemporaneamente
la corteccia prefrontale inferiore e inferotemporale ipotizzano che la nuova
lettera sarà la “a” ed in subordine la “e” (strade) o la “i”, (stradina,
stradicciola).
Il
movimento oculare, organizzato dalle aree premotorie e realizzato dalla motrice
primaria, sposta l’attenzione sulla “a” che viene percepita.
Dalla
corteccia percettiva si diramano due input riguardanti la via del “che cosa”
(inferotemporale) e la via del “dove” (parietale posteriore). Esse portano le
informazioni modali (forma, colore, chiaro/scuro) e quelle spaziali (grandezza,
posizione, stasi/movimento).
L’input
modale giunge alle cortecce inferotemporale e prefrontale inferiore. L’imput
spaziale giunge alle cortecce parietale posteriore e prefrontale dorsolaterale.
Ricevute
queste due informazioni, sulla base delle esperienze pregresse il circuito si
attiva nuovamente.
Concomitantemente
a questo circuito percettivo motorio agisce un sottocircuito percettivo
rappresentativo
Questo
secondo circuito si occupa della “posizione” degli occhi rispetto alle cavità
orbitali, al capo e all’oggetto esterno da percepire.
Anch’esso
funziona su base ipotesi/verifica.
La
corteccia prefrontale dorsolaterale ipotizza la “posizione” degli occhi
nell’istante successivo, sulla base dei dati “reali” forniti dalla corteccia
percettiva somatosensitiva (rispetto allle orbite ed al capo).
Ipotizza
inoltre la posizione degli occhi rispetto all’oggetto esterno sulla base dei
dati “reali” forniti dalle cortecce primarie somatosensitive e visive.
Sulla
base di queste ipotesi contribuisce al movimento degli occhi in concomitanza al
circuito percettivo motorio.
Oltre
a questo secondo circuito, nell’atto della percezione visiva, si attiva un
terzo circuito. Si tratta del circuito attenzionale rappresentativo visivo
Questo
circuito ci consente di richiamare alla mente azioni ed eventi già percepiti o
di immaginarne nuovi. Esso si “esercita” a questa funzione durante la
percezione anche se, ovviamente, può agire in modo autonomo.
Nell’atto
della percezione, le cortecce prefrontale inferiore e inferotemporale
ipotizzano le componenti modali (forma, colore, chiaro/scuro) dell’immagine che
seguirà; la corteccia prefrontale dorsolaterale e parietale posteriore
ipotizzano le componenti spaziali (posizione, grandezza e stasi/movimento). La
corteccia percettiva fornisce la verifica alle previsioni.
Durante
la sola rappresentazione mentale, manca la verifica percettiva e le scene e gli
eventi si susseguono temporalmente sulla base dell’esperienza pregressa.
Tanto
nell’atto percettivo, quanto in quello rappresentativo, in questo circuito,
l’ipotesi modale precede quella spaziale.
Il
circuito rappresentativo può agire come supporto al circuito motorio. Questo
accade quando parliamo spontaneamente.
Nell’eloquio
spontaneo, infatti, il recupero in memoria della pronuncia delle parole avviene
tramite il circuito rappresentativo. Esso si attiva tramite l’area di Broca e
l’area di Wernicke per quanto concerne la componente modale.
Per
quanto riguarda la componente spaziale ritengo che siano presenti, analogamente
a quanto abbiamo visto per il sistema percettivo motorio, due circuiti.
Il
primo concerne la memoria della “posizione” dei suoni nello spazio esterno
all’atto del nostro parlare; il secondo riguarda la memoria della “posizione” e
della “stasi/movimento” degli organi fonoarticolatori, l’uno rispetto all’altro
ed all’insieme.
Le
due frecce che collegano l’area di Broca e l’area di Wernicke indicano il
flusso di informazione che riguarda la componente rappresentativa (Broca
→ Wernicke), nonché la componente percettiva (Wernicke → Broca)
Analogamente
le due frecce che collegano la corteccia parietale e la corteccia prefrontale
indicano il flusso di informazione che riguarda la componente rappresentativa
(prefrontale → parietale), nonché la componente percettiva (parietale
→ prefrontale)
Durante
la lettura ad alta voce agiscono in sincronia due circuiti. Si tratta del
circuito percettivo motorio visivo e del circuito rappresentativo
fonoarticolatorio
Essi
si collegano l’uno all’altro tramite la memoria visiva del lessico scritto
conservate nella corteccia inferotemporale e la memoria uditiva del lessico
orale conservata nell’area di Wernicke.
Il
modello sovrastante non tiene conto delle aree subcorticali, dei circuiti
relativi alla posizione degli occhi e degli organi fonoarticolatori. Inoltre
manca la componente semantica che riguarda la funzione metacognitiva di cui ci
occuperemo in un altro saggio.
Vediamo
adesso un modello relativo ai diversi gradi di consapevolezza delle funzioni
attenzionali.
Il
modello va così interpretato.
Le
funzioni attenzionali sono atti di consapevolezza.
La
consapevolezza può essere di tipo percettivo o rappresentativo.
Ambedue
le tipologie di consapevolezza possono riguardare il proprio corpo o l’ambiente
esterno.
Si
ha consapevolezza percettiva e rappresentativa dello spazio e delle modalità.
Le
componenti spaziali essenziali sono: stasi/movimento, grandezza, posizione; tra
le innumerevoli componenti modali ricordiamo: forma, chiaro/scuro,
liscio/ruvido.
Partendo
da una componente spaziale abbiamo.
La
posizione è una componente spaziale e non modale.
Può
riguardare una parte del proprio corpo o un oggetto esterno.
Può,
inoltre, essere percettiva o rappresentativa. Ciò vuol dire che possiamo
immaginare (rappresentazione) o percepire la posizione di un corpo nello
spazio.
Infine
tanto la percezione quanto la rappresentazione sono atti di consapevolezza.
Leonardi
Salvatore
E-mail: salvatoreleonardi10@virgilio.it
[1] I concetti di posizione e stasi/movimento sono simili. Il movimento possiamo considerarlo come una variazione della posizione nel tempo. La stasi come invarianza della posizione nel tempo. La posizione è un concetto spaziale che prescinde dalla componente temporale.
Analogamente sono simili i concetti di grandezza, lunghezza, larghezza, altezza, profondità, distanza. Si tratta di porzioni di spazio.
[i] E. R. Kandel, T. M. Jessell (1991) Il
tatto in Principies of Neural Science by E. Kandel, J.H. Schwartz T.
M. Jessell Elsevier Science Publication Co.
[ii] C. Mason, E. R. Kandel (1991) Le vie visive centrali in Principies
of Neural Science by E. Kandel, J.H. Schwartz T. M. Jessell Elsevier
Science Publication Co.
[iii] G. Vaccarino (1981) Analisi dei significati Armando Editore Roma.
[iv] C. Mason, E. R. Kandel (1991) Le vie visive centrali in Principies of Neural Science by E. Kandel, J.H. Schwartz T. M. Jessell Elsevier Science Publication Co.
[v] Anthony Y. Springer (1996) A
guide to adult neuropsychological diagnosis published by F. A. Davis
Philadelphia Pennsylvania U.S.A.
[vi] Stephen Michael Kosslyn (1983): Ghosts in the mind’s machine Creating and Using Images in the Brain W.W.
Norton and Co., New York
[vii] E. R.
Kandel(1991) La percezione del movimento del senso della profondità e delle
forme in Principies of Neural Science by E. Kandel, J.H. Schwartz T.
M. Jessell Elsevier Science Publication Co.
[viii] John H. Martin (1991)Codificazione ed elaborazione delle informazioni sensoriali in Principies of Neural Science by E. Kandel, J.H. Schwartz T. M. Jessell Elsevier Science Publication Co.
[ix] D. H. Hubel, T. N. Wiesel (1979) Eye,
Brain and Vision New York: Scientific American Librery
[x] M. De Vincenti R. Di Matteo (2004) Come il cervello comprende il linguaggio Editori Laterza Bari
[xi] M. De Vincenti R. Di Matteo (2004) Come il cervello comprende il linguaggio Editori Laterza Bari
[xii] J. A. Fodor (1983) modularity of
Mind MIT Press Cambridge (Ma).
[xiii] M. E. Goldberg, H. M. Eggers, P. G.
Gouras (1991) Il sistema oculomotore in Principies of Neural Science by
E. Kandel, J.H. Schwartz T. M. Jessell Elsevier Science Publication Co.